Una morte cardiaca prevedibile con una gestione del paziente davvero ai limiti dell’impensabile. Grave negligenza ed imperizia

Un decesso evitabile con una gestione sufficientemente diligente. Ma alla morte cardiaca ha contribuito anche l’inefficienza della struttura che aveva non solo gli ascensori guasti, ma anche la TC non funzionante. Ma i guasti sono solo una concausa che forse non ha i caratteri della sufficienza: l’infarto miocardico non approfondito dai sanitari è la vera causa della morte cardiaca.

Quando si parla di colpa sanitaria si parla dei tre elementi della colpa, ossia dell’imperizia, dell’imprudenza e della negligenza, ma non sempre in ogni fattispecie di malpractice è possibile evidenziarne uno.

In questo caso dire che esistono tutti insieme non significa esagerare, ma valutare con sconcertante serenità la faccenda che si può esaminare con la lettura della perizia di parte redatta in favore degli eredi della vittima.

Si tratta del classico caso di responsabilità sanitaria che va risolto con un tentativo di conciliazione davanti al giudice (ATP, o meglio, ricorso 696bis) perché la relazione che si allega evidenzia come gli attori hanno le idee abbastanza chiare sulla qualificazione della colpa (o inadempimento) per cui il ricorso non avrà carattere esplorativo ma solo accertativo del danno da risarcire. Tipico caso dove i legali dei convenuti non potranno lamentare tale eccezione di inammissibilità (anche se sono convinto che lo faranno comunque!).

Si riporta di seguito solo un piccolo stralcio della relazione allegata tanto per farvi pregustare la lettura completa della storia clinica:

“…Possibile che i medici non siano stati sfiorati dal dubbio che l’antibiotico usato fosse clinicamente inefficace e che andasse cambiato?

Possibile che nessuno sia stato sfiorato da qualche dubbio su quella voluminosa opacità polmonare superolaterale riscontrata che peraltro non poteva essere ulteriormente indagata in quanto la TAC era rotta?

Inoltre di fronte a una febbre che persisteva da una settimana nessuno è stato sfiorato dal dubbio che il V. potesse avere una sepsi e che quindi un antibiotico, pur a largo spettro, somministrato per bocca, fosse completamente inadeguato?

Nessuno ha pensato a tale possibilità, o meglio, alla necessità imperativa di eseguire una serie di emoculture al fine di identificare il patogeno?…”.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

Leggi la perizia

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