Vicenda dai contorni spiacevoli per la morte di un ragazzo di soli 14 anni avvenuta tragicamente durante una partita di calcio

Cari lettori, in questa disamina giurisprudenziale mi occuperò di una vicenda dai contorni spiacevoli, atteso che ci troviamo dinanzi alla morte di un ragazzo di soli 14 anni, avvenuta tragicamente durante una partita di calcio.

Orbene, nel caso di specie un medico dello sport risultava imputato per omicidio colposo in quanto nell’ottica accusatoria, assumendo una condotta negligente, imprudente nonché imperita, rilasciando il certificato di idoneità fisica, sportiva, agonistica al ragazzo, avrebbe cagionato la sua morte, avvenuta nel corso di una partita di calcio a causa di una “aritmia ventricolare ipercinetica”.

Ebbene, il Giudice dell’udienza preliminare, in sede di giudizio abbreviato – quale rito processuale prescelto dall’imputato – condannava il sanitario per il delitto di omicidio colposo e la Corte di Appello, poi, confermava la sentenza di primo grado.

Dunque, prima di addentrarci nell’analisi della sentenza n° 32151/11 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, occorre immediatamente evidenziare in questa sede che gli Ermellini, nella vicenda de qua, hanno confermato la condanna dell’imputato, condividendo pertanto appieno le argomentazioni logico giuridiche dei Giudici di merito.

Detto ciò, soffermiamoci ora sulla difesa sostenuta dai Legali del medico e sulle motivazioni addotte per converso dall’Autorità giudiziaria.

Invero, la difesa del medico innanzitutto evidenziava in sede di gravame la circostanza che addirittura il consulente tecnico della Procura aveva ritenuto “difficoltoso” accertare l’esistenza della patologia in sede di visita medico sportiva.

Ancora, si asseriva che al dottore nulla veniva riferito dal paziente in sede di anamnesi e che l’elettrocardiogramma eseguito sul ragazzo dal cardiologo evidenziava uno stato fisico normale.

In presenza di tali positivi elementi il medico dello sport non avrebbe per certo potuto prescrivere ulteriori accertamenti e non poteva esimersi dal rilascio del certificato di idoneità fisica allo svolgimento di attività sportiva in modalità agonistica in favore del giovane atleta.

Orbene, tali argomentazioni non sono state affatto condivise né dal G.U.P., né dalla Corte di Appello, né infine dalla Suprema Corte, che hanno affermato la penale responsabilità del sanitario per il reato di omicidio colposo e dunque condannato il predetto.

Infatti, i giudici di merito hanno riscontrato la condotta colposa del medico nelle seguenti circostanzi.

La prima circostanza era che anni addietro e precisamente all’età di 5 anni, l’atleta aveva avuto una tachicardia parossistica, poi regredita, così come espressamente autocertificato dalla madre per iscritto in una dichiarazione che risultava peraltro allegata alla scheda di valutazione del ragazzo redatta in occasione della visita medica.

Ed ancora, il cardiologo, pur trovandosi in presenza di un elettrocardiogramma normale, aveva riscontrato delle singolarità che venivano poi cristallizzate in un referto medico che nel corso del processo è stato addirittura ritenuto manipolato, in ragione della presenza di macchie apposte con il bianchetto.

Pertanto, in presenza di tali segnali – dichiarazione della madre e singolarità del referto medico – il sanitario dello sport avrebbe dovuto disporre ulteriori accertamenti per verificare il complessivo stato di salute dell’atleta.

Pertanto, il nesso eziologico, ossia il nesso di collegamento tra la condotta assunta dal medico, imputato, e l’evento morte è il seguente: se il medico dello sport, in presenza di un quadro clinico certamente non chiaro ma piuttosto singolare, avesse disposto ulteriori accertamenti tecnici, avrebbe potuto ritardare o contenere il rischio di decesso improvviso e non avrebbe per certo rilasciato il certificato di idoneità fisica allo svolgimento di attività sportiva in forma agonistica.

Ne consegue, dunque, che ad avviso della Magistratura Giudicante va affermata la penale responsabilità del medico dello sport e dunque va emessa nei suoi riguardi sentenza di condanna, atteso che l’integrale carteggio processuale ha consentito di appurare la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta dell’imputato e l’evento morte: infatti, anche se il giocatore soffriva di una patologia che avrebbe potuto determinare una morte improvvisa, nel caso di specie, se il medico non avesse rilasciato il certificato di idoneità fisica, l’atleta non avrebbe disputato quella partita e dunque non sarebbe deceduto sul campo da gioco.

In definitiva, la condotta del medico dello sport – alla luce delle osservazioni svolte dapprima dal G.U.P., poi condivise dalla Corte territoriale ed infine acclarate dalla Suprema Corte – è certamente colposa, poiché assolutamente negligente, imprudente ed imperita e tale dunque da cagionare la morte di un giovanissimo atleta.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 

Leggi anche:

DANNO DA LESIONE DEL LEGAME PARENTALE: LA PROVA DEVE ESSERE RIGOROSA!

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui