Secondo l’accusa vi sarebbero responsabilità mediche per il decesso di una neonata morta dopo un intervento al cuore nel 2016

La tragedia risale al settembre del 2016 e riguarda una neonata morta dopo un intervento al cuore, per una cardiopatia congenita. Una vicenda per la quale ora un medico dell’Ospedale di Padova rischia di finire a giudizio con l’accusa di omicidio colposo.

La vittima, una bimba di quasi sette mesi, era venuta al mondo assieme a due gemellini presso il reparto di neonatologia dell’Ospedale di Udine. I tre fratellini erano stati partoriti con taglio cesareo alla 35esima settimana: lievemente prematuri, dunque, ma in buona salute.

La bambina, in particolare, era la più piccola ma cresceva regolarmente. Durante un controllo periodico, secondo quanto riportato dal Gazzettino, le era stato riscontrato un problema cardiaco. I medici di Udine, in accordo con la famiglia, avevano contattato i cardiologi e cardiochirurgi di Padova. Dopo vari accertamenti e consulti, questi decisero di procedere con un intervento, prospettando ai genitori un rischio operatorio contenuto.

Durante l’operazione, tuttavia, qualcosa è andato storto. Per la piccola è iniziata un’agonia che, passando per altri interventi riparatori, l’ha portata al decesso. La famiglia si è quindi rivolta alla magistratura presentando un esposto che ha portato all’apertura di un fascicolo per omicidio colposo, inizialmente contro ignoti.

La perizia medico legale disposta dalla Procura ha poi evidenziato delle responsabilità mediche nell’accaduto.

I due consulenti incaricati, in particolare,  hanno espresso perplessità sui tempi scelti per la delicata operazione al cuore su una bimba di soli quatto mesi. “Si sarebbe potuto adottare un atteggiamento di attesa – si legge nella perizia – con controlli nel tempo della funzionalità cardiaca, che avrebbe permesso l’ulteriore crescita della bambina e reso quindi meno rischioso l’intervento”.

Secondo i periti, inoltre, vi sarebbe stata anche una “incompletezza della diagnosi pre-operatoria”. In questa, infatti, non sarebbe riportata “l’assenza di una comunicazione (vena anonima sinistra) tra le due vene cave superiori, che inciderà significativamente sull’esito dell’intervento”.

Sono poi state evidenziate anche inadeguatezze nell’assistenza e imprudenza da parte di chi ha eseguito il primo intervento, oltre che sulla gestione post-operatoria della paziente. Le censure riguarderebbero le modalità con cui fu eseguita l’operazione chirurgica, con riferimento alla gestione della circolazione extracorporea e alla tecnica chirurgica impiegata.

Sulla base di tali conclusioni il pubblico ministero ha iscritto nel registro degli indagati un camice bianco del reparto di cardiochirurgia.

Secondo l’accusa il professionista “nella sua qualità di primo operatore, nell’esecuzione dell’intervento cardiochirurgico, per imprudenza causava alla paziente una trombosi venosa, la quale determinava lo sviluppo di chilotorace trattato chirurgicamente senza successo, di massiva trombosi dei seni venosi intracranici e del circolo venoso sistemico, unitamente a emorragie cerebrali subdurali e aeree di sofferenza ischemica, che causavano quale effetto finale, ma direttamente ricollegabile al comportamento imprudente, il decesso per insufficienza cardiorespiratoria”.

A conclusione delle indagini preliminari, dunque, il Pm ha chiesto il rinvio a giudizio del medico. Il gip del tribunale di Padova ha fissato l’udienza preliminare per il 30 maggio.

 

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