Un dramma che poteva essere evitato se il ginecologo e l’ostetrica dell’ospedale Villa San Pietro di Roma avessero guardato meglio le analisi. Il neonato è morto a seguito di soffocamento da cordone ombelicale causato da un’errore di valutazione del medico che avrebbe fatto nascere il bambino in ritardo con parto naturale, senza aver controllato le analisi in possesso che imponevano un taglio cesareo per evitare il soffocamento. E’ la tesi del Pm accolta dal Gip che ha disposto il processo per i due sanitari con l’accusa di omicidio colposo. Il dramma risale alla notte del 29 settembre del 2011 quando l’ostetrica ha tra le mani il tracciato cardiotocografico dal quale emerge una sofferenza ipossica fetale, un caso che di norma finisce con un parto cesareo. In questo modo i due imputati non sarebbero adeguatamente intervenuti per risolvere una situazione complessa, aggravata dal cordone ombelicale attorno al collo del piccolo e da un nodo che avrebbe aggravato le condizioni cliniche.

Per l’ostetrica e il ginecologo però le conclusioni sono altre e decidono di procedere al parto naturale. La separazione dal grembo materno avviene attraverso l’utilizzo da ventosa ostetrica che, per le condizioni del nascituro, diventa un mezzo fatale. Lo strumento, infatti, finisce per trasformare il cordone ombelicale in un cappio che soffoca il nascituro. Il piccolo nasce vivo ma la situazione si complica con una lunga asfissia. Dopo il trasferimento urgente in rianimazione presso l’ospedale Bambino Gesù, il piccolo muore il 2 ottobre. Per l’avvocato Marco Casalini, legale dei due medici accusati, tutto sarà rimandato al dibattimento: «dimostreremo la mancanza di responsabilità del ginecologo e dell’ostetrica», e continua «ci sono state cause che hanno reso l’evento mortale».

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