Una disposizione dell’Asl di Viterbo, allo stato sospesa, stabilisce l’obbligo del pagamento elettronico delle prestazioni, ma per le associazioni la misura in chiave anti evasione non sarebbe adeguata

Secondo quanto disposto dalla Legge di Stabilità 2016, dal 1° gennaio di quest’anno i professionisti hanno l’onere di accettare le carte di pagamento, comprese le carte di credito, quale strumento alternativo al contante per qualsiasi importo.

Se da un lato, dunque, i clienti hanno la facoltà di utilizzare le carte quale mezzo di pagamento, di contro non c’è nessuna norma, a livello nazionale o regionale, che stabilisca l’obbligo del pagamento delle prestazioni professionali solo con tali mezzi.

Un’iniziativa in tal senso è stata avviata dall’Azienda sanitaria locale di Viterbo, che, al fine di combattere l’evasione, ha ipotizzato l’obbligo di pagamento con il POS per le prestazioni dei medici che svolgono attività intramoenia allargata. La prospettiva ha sollevato, tuttavia, le opposizioni dei sindacati medici che hanno fatto notare i disagi che l’applicazione di tale dettame creerebbe, soprattutto per i pazienti anziani, che hanno poca dimestichezza con carte di credito e pagamenti online. Pur essendo al momento sospesa, con la Asl che ha informalmente fatto sapere che non esiste alcun obbligo di POS, la disposizione, “dettata dalla necessità di controllare quanto avviene sul territorio” non è stata tuttavia abolita.

In realtà i sindacati evidenziano come il POS, quale strumento di tracciabilità delle prestazioni intramoenia, sia del tutto inadeguato. Il medico che offre la prestazione intramuraria, infatti, visita i pazienti che gli vengono mandati dalla Asl, dopo il pagamento del ticket per intero al Cup, con tariffa in alcuni casi ormai molto vicina al costo del ticket stesso. La libera professione intramuraria, sia se svolta in ospedale, sia che si effettui nello studio del medico dipendente quando mancano spazi interni all’azienda, è disciplinata in modo che le somme per l’attività intramuraria siano riscosse direttamente dall’ente ospedaliero, che trattiene una percentuale per far fronte agli oneri di reportistica e gestione e chiede al professionista di collegarsi all’azienda di appartenenza, per conoscerne le transazioni in tempo reale.

La richiesta di pagamento tramite Pos, inoltre, si riferisce agli specialisti chiamati a effettuare prestazioni a domicilio dei pazienti. Al di la della considerazione che si tratta di un volume di attività non particolarmente rilevante, i sindacati spiegano ancora che in questi casi l’azienda sanitaria è tenuta a riscuotere i proventi dell’ esercizio “fuori orario” sempre attraverso il Cup, prima che si realizzi la prestazione. In conclusione, quindi, la norma che obbliga il professionista a farsi pagare con carte, anche ove applicata, non risolverebbe il problema dell’evasione fiscale.

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