Lo ha chiarito la Corte di Cassazione pronunciandosi sul ricorso di due professionisti denunciati da alcuni pazienti che erano stati curati per alcune carie dall’odontotecnico

Sequestro preventivo di due stanze adibite a studio medico, con relative apparecchiature, oltre che di farmaci, strumenti, agende relative agli appuntamenti, agende telefoniche e radiografie. E’ la misura inflitta dal Tribunale del Riesame  nei confronti di due soggetti, un odontoiatra e un odontotecnico, indagati per il reato di esercizio abusivo della professione previsto dall’articolo n. 348 del codice penale.

La sanzione era scattata dopo la denuncia di due pazienti che avevano raccontato di essere stati curati per alcune carie dall’odontotecnico; un’attività che invece sarebbe di competenza esclusiva del medico odontoiatra.

I due professionisti, ritenendo ingiusto il provvedimento, hanno presentato ricorso per Cassazione; a loro avviso, infatti, al momento dell’intervento dei carabinieri, l’odontotecnico “non era intento a medicare pazienti” e “le sedie per le cure dentistiche ubicate nelle due stanze erano collegate alla rete elettrica, ma spente”; di conseguenza non sussisteva alcun elemento a carico del soggetto condannato.

I ricorrenti, inoltre, ritenevano illegittimo il provvedimento di sequestro, dal momento che era stato esteso oltre il volere del Pubblico Ministero, il quale si era limitato a richiedere la requisizione delle sole stanze e non degli altri materiali.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 23014 dello scorso maggio ha accolto solo parzialmente le argomentazioni dei due soggetti. Secondo gli Ermellini, infatti, il ricorso era da considerarsi fondato in relazione alla legittimità del sequestro, che effettivamente non doveva essere esteso alle radiografie e alle agende. L’ordinanza emessa a tale riguardo, di conseguenza, è stata annullata. Ma le altre argomentazioni erano da considerarsi infondate e pertanto in relazione a tali contestazioni il ricorso è stato respinto.

In particolare il sequestro delle stanze era giustificato dalla sussistenza di esigenze cautelari e gravi indizi di colpevolezza. Per gli Ermellini, infatti,  la sentenza impugnata aveva accertato che l’odontotecnico aveva praticato delle cure riservate alla competenza dell’odontoiatra e che quest’ultimo si era reso corresponsabile del reato di “esercizio abusivo della professione” poiché aveva acconsentito a tali pratiche, mettendo a disposizione le stanze e le apparecchiature.

Nello specifico la Cassazione ha precisato che “è configurabile il reato di esercizio abusivo della professione nella condotta dell’odontotecnico che provvede alla cura delle carie”. In base al Regio Decreto 31 maggio 1928, n. 1334, articolo 11, ‘E’ in ogni caso vietato agli odontotecnici di esercitare, anche alla presenza ed in concorso del medico o dell’abilitato all’odontoiatria, alcuna manovra, cruenta o incruenta, nella bocca del paziente, sana o ammalata”.

Quanto alla responsabilità dell’odontoiatra, invece, i giudici del Palazzaccio hanno rilevato come “il professionista abilitato che consenta o agevoli lo svolgimento di attività professionale da parte di soggetto non autorizzato” risponde anche esso a per concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione.

 

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