La suddivisione della pensione di reversibilità nel caso in cui il dante causa abbia avuto alle spalle più legami matrimoniali è questione delicata, che spesso continua ad avere un proprio spazio rilevante nella giurisprudenza nazionale.

Questa rilevanza si spiega con il fatto che la suddivisione non avviene in base ad un semplice calcolo matematico ma è necessario tenere presente altri fattori, per la cui verifica è imprescindibile la funzione del giudice.

Prima di affrontare le argomentazioni poste a base della sentenza che stiamo commentando, riteniamo utile chiarire quali ne siano i presupposti, inquadrando i punti principali della questione in discussione.

In via generale la pensione ai superstiti si qualifica come di reversibilità quando il de cujus era, al momento del decesso, già titolare di pensione diretta altrimenti, sempre in via generale, si entra nel campo delle prestazioni indirette.

Si tratta quindi di un unico cespite sul quale incide la pluralità di rapporti matrimoniali, eventualmente intrattenuti dall’originario titolare, questo particolare aspetto si comprende più facilmente, avendo presente la funzione dell’istituto della reversibilità: garantire al coniuge superstite il mantenimento del tenore di vita che la coppia aveva in costanza di matrimonio.

Si tratta di un onere che non viene meno con l’intervento della sentenza di divorzio e quindi in presenza di un ex coniuge e di un vedovo, si impone la divisione della pensione per quote.

Per un lungo periodo la suddivisione avveniva esclusivamente in base alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali, ma fin dal 1999 la Consulta ha affermato il dovere dei Tribunali di determinare le quote di spettanza della pensione senza dare alla durata del rapporto valore preponderante rispetto ad altri elementi, quali ad esempio la situazione economica personale dei soggetti coinvolti. Su tale falsariga è successivamente – e a più riprese – intervenuta la giurisprudenza di legittimità affermando che la quota di pensione spetta anche in assenza di assegno divorzile, purchè ve ne siano i presupposti, sulla base della categoria del diritto potenziale e di una titolarità anche solo astratta.

Ancora la giurisprudenza prescrive, ai giudici di merito di considerare nella valutazione dei rispettivi rapporti matrimoniali, secondo le circostanze concrete e valutando anche l’eventuale convivenza prematrimoniale, se infatti si ritiene di non poter prescindere dalla valutazione dell’elemento temporale, non può giungersi a violare il principio di uguaglianza che pone entrambi i soggetti coinvolti nella posizione di poter pretendere il medesimo mantenimento del tenore di vita, non può quindi violarsi il principio di uguaglianza e di solidarietà sociale, che interviene come elemento mitigatore di ultima istanza.

La quota di pensione – per la cui determinazione è necessario l’intervento del giudice – spetta quindi al coniuge divorziato a condizione che abbia goduto (o sia stato nelle condizioni per goderne) di assegno divorzile, e che non si sia risposato.

Anche la convivenza more uxorio, in quanto volta alla formazione di una famiglia di fatto, elide il diritto alla quota in quanto abbia connotati di stabilità e continuità.

La pronuncia del Tribunale di Potenza riafferma che la ripartizione deve necessariamente compiersi anche sulla base di criteri integrativi rispetto a quello tuttora prevalente della durata temporale.

Come già evidenziato questi criteri si rifanno, in ultima istanza, alla funzione essenzialmente solidaristica dell’istituto della reversibilità, ma si impone anche la tutela economica dell’ex coniuge (o del coniuge) privo di mezzi adeguati.

I correttivi rappresentano quindi criteri necessariamente elastici e variabili, tali da potersi adattare facilmente al singolo caso concreto la cui valutazione è rimessa al giudicante, la cui funzione primaria in questo genere di controversia è quella di garantire il corretto bilanciamento degli interessi contrapposti, con lo scopo di evitare la totale scopertura di uno dei soggetti coinvolti.

Assumono rilevanza – a ben vedere – anche valori e considerazioni di tipo etico, con funzioni correttive in ragione delle quali non può non tenersi conto del valore preponderante dell’assistenza e cura prestate dalla seconda moglie al marito, gravemente malato sin dall’inizio della relazione e per assistere il quale ella aveva rinunciato alla propria attività professionale, quando le prospettive di vita dello stesso erano già irreversibilmente segnate e che aveva accompagnato sino alla morte ( vedi anche Cass. Civ. 14/03/2014, n. 6019).

Poiché giova ribadirlo la funzione del beneficio in parola è quello di garantire, nei limiti del possibile, la conservazione di uno stile di vita adeguato a quello avuto in costanza di matrimonio, non può prescindersi, dalla valutazione della condizione personale, anche esterna, che possa influire sullo stile di vita.

In questo senso si spiega e trova giustificazione la rilevanza che il Tribunale assegna all’assegno divorzile, o per quanto detto in precedenza quantomeno alla possibile titolarità astratta dello stesso, in assenza del quale si rescinde ogni possibile residua solidarietà post matrimoniale tra ex coniugi (Cass. Sez I 3.4.2015 n. 3855) i cui obblighi reciproci si estinguono.

Avv. Silvia Assennato

Foro di Roma

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui