È irragionevole liquidare il danno da perdita del rapporto con il convivente more uxorio, in un importo pari alla metà della somma ordinariamente prevista dalle tabelle milanesi, per la liquidazione della perdita del rapporto coniugale

La vicenda

Nel 2017 la Corte d’Appello di Roma condannava una nota compagnia assicurativa al risarcimento, in favore della ricorrente, dei danni da quest’ultima subiti a seguito del sinistro stradale in cui aveva perso la vita il proprio convivente more uxorio.

A fondamento della propria decisione, la corte romana aveva evidenziato come fosse stata pacificamente raggiunta la prova dell’effettiva sussistenza di un rapporto di convivenza, tra l’attrice e la vittima; rapporto dotato dei caratteri di stabilità e intensità affettiva assimilabili a un rapporto di natura matrimoniale, sì da giustificare il riconoscimento, in favore della prima, del risarcimento dei danni dalla stessa sofferti nella misura liquidata secondo i parametri offerti dalle tabelle milanesi.

La predetta misura – a detta della ricorrente – era, tuttavia, irragionevolmente penalizzante sol perché trattavasi di perdita di rapporto tra due conviventi e non di due coniugi uniti in matrimonio.

Sotto altro profilo, il giudice d’appello aveva escluso che fosse stata raggiunta una prova sufficiente o adeguata di un rapporto di stabilità e di intensità affettiva di uguale natura tra il defunto e i due figli della ricorrente, sì da escludere la riconoscibilità, in loro favore, del risarcimento del danno dagli stessi invocato.

Il ricorso per Cassazione

La questione giuridica portata in Cassazione dal procuratore speciale dei due minori è stata la seguente: è giustificato ridurre l’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto con il convivente more uxorio, rispetto alla misura ordinariamente riconosciuta in caso di perdita del rapporto coniugale?

I giudici della Suprema Corte hanno innanzitutto chiarito che le c.d. tabelle del Tribunale di Milano assumono rilievo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona; ne consegue che la loro erronea applicazione da parte del giudice dà luogo ad una violazione di legge, censurabile in sede di legittimità.

Ebbene, la corte territoriale, “pur dichiarando espressamente di volersi uniformare (nella liquidazione del danno subito dalla ricorrente) alle misure di liquidazione previste dalle tabelle predisposte presso il Tribunale di Milano, aveva tuttavia determinato, in favore della convivente del defunto, un importo pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, giustificando tale determinazione in ragione del ritenuto normale consolidamento dei rapporti di affetto e di condivisione, nell’ambito delle convivenze di fatto, “in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio”.

«Tale giustificazione – a detta degli Ermellini – comporta “una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio e, perciò, risulta lesiva degli stessi criteri adottati nelle c.d. “tabelle di Milano” utilizzate a fondamento della liquidazione operata, attesa l’espressa completa equiparazione (contenuta in dette tabelle) tra convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio».

Non è invece stato accolto il motivo di ricorso volto a censurare l’esclusione dei figli della ricorrente dal risarcimento del danno per la morte del suo convivente.

Il motivo era inammissibile, “non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi”.

La redazione giuridica

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