Una ordinanza del Tribunale di Milano ha fornito chiarimenti circa la perdita del feto e quella del figlio e cosa comporta in termini di risarcimento

Il Tribunale di Milano con l’ordinanza n. 5829 del 22 novembre 2016 ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patito da una donna incinta al nono mese di gravidanza, che era rimasta coinvolta in un grave incidente stradale, a seguito del quale aveva perso il bambino.
Si deve sottolineare che la perdita del feto, in giurisprudenza, non veniva mai equiparata alla morte di un congiunto, come ad esempio il figlio, ma è sempre stata considerata circostanza lesiva del diritto alla genitorialità.
Da ciò discende che uno dei principali problemi che l’operatore del diritto è chiamato a dirimere nel caso di perdita del feto è senza dubbio quella relativa alla quantificazione del danno risarcibile.
Preliminarmente il Tribunale di Milano si è pronunciato in ordine alla questione dell’individuazione della legge da applicare al caso de quo, in virtù del fatto la ricorrente ed il conducente del veicolo sulla quale la stessa viaggiava, fossero di nazionalità rumena, mentre l’automobile era stata immatricolata in Spagna ed aveva certificato assicurativo olandese.
Il Tribunale meneghino ha ritenuto applicabile al caso in esame la legislazione italiana in base al luogo di verificazione dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 62, primo comma, L. 218/1995.
Nonostante il fatto che la donna non avesse indossato la cintura di sicurezza, il Tribunale ha escluso ogni ipotesi di concorso di responsabilità della danneggiata, ex art. 1227 c.c., poiché la consulenza tecnica d’ufficio, integralmente richiamata dal giudice, ha accertato che, data la dinamica dell’incidente, il corretto utilizzo della cintura non avrebbe comunque evitato l’insorgere delle lesioni e dell’interruzione della gravidanza.
La natura delle lesioni patite dalla ricorrente, nonché i postumi e le conseguenze anche in termini psichici dei traumi, hanno determinato il Tribunale a liquidare in favore della stessa una somma complessiva pari a €. 730.000,00=, a titolo di risarcimento per la grave invalidità permanente riportata, stimata in una percentuale del 55%.

Il danno per la perdita del nascituro

Il Tribunale di Milano ha, inoltre, ritenuto risarcibili le ulteriori sequele di carattere non patrimoniale, ricollegabili alla perdita del nascituro, sub specie di danno da perdita del potenziale rapporto parentale (dalla documentazione clinica in atti è emerso che la stessa portava in grembo un feto giunto ormai alla 42^ settimana di gestazione e pertanto a termine).
La giurisprudenza riconosce tale posta di danno segnalando con riferimento alla quantificazione del risarcimento, che “va considerato che il danno non patrimoniale non può che essere liquidato in via equitativa e che tale valutazione ha da tempo trovato un utile parametro di riferimento nelle note tabelle che sono state elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare una tendenziale omogeneità di trattamento fra situazioni analoghe; com’è noto, al fine di assicurare il massimo grado di uniformità, questa Corte è poi pervenuta a riconoscere alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale di “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono” (Cass. n. 12408/2011).
Secondo il Tribunale meneghino, sotto tale profilo il pregiudizio va riconosciuto quale perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro ed a tale proposito appare evidente che l’importo liquidato dovrà essere individuato nell’ambito della forbice risarcitoria prevista per tale pregiudizio senza tuttavia ignorare che l’importo dovrà ridursi proporzionalmente in ragione del momento in cui è avvenuta la cessazione della gravidanza e senza attestarsi sui valori più elevati della forbice risarcitoria posto che non può non considerarsi che per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale (cfr. Cass., n. 12717/15).

Equiparazione del feto nato morto al decesso del figlio

La citata sentenza della n. 12717 del 2015 della Suprema Corte, afferma, almeno, due principi destinati a consentire una revisione giurisprudenziale dei parametri liquidativi.
In primis assimila il feto nato morto al decesso di un figlio, che consente l’equiparazione dei due fatti, anche sotto il profilo del ricorso a quanto previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano in punto lesione del rapporto parentale per la perdita di un figlio di giovane età, che viene liquidato in misura vicina ai massimi tabellari.
Questo importo, dovrà essere decurtato in virtù della circostanza per cui per il figlio nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita.
Nel caso de quo la gravidanza era quasi giunta a termine, e per l’indubbio dolore ingenerato nella madre che quella nascita aveva ormai ritenuta prossima e certa, per tutte le progettualità conseguenti alla nascita stessa, ove avvenuta, e per la drammatica frustrazione conseguente all’aborto colposo, il Tribunale meneghino, accogliendo il ricorso proposto dalla donna, ha ritenuto equo riconoscere alla ricorrente a tale titolo la somma di € 100.000,00.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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