La mera relazione di consanguineità con la vittima non è, da sola, sufficiente ad integrare il danno risarcibile da c.d. perdita del rapporto parentale

Che la relazione di parentela non possa costituire “ex se” prova del danno da perdita del rapporto parentale, da intendersi quale venire meno della comunanza spirituale con la vittima è un dato ormai acquisito nel patrimonio giurisprudenziale italiano

Esso implica, non necessariamente la convivenza, ma certamente la prova del concreto atteggiarsi dei rapporti e delle relazioni effettivamente intrattenute dal familiare con la vittima.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che “in caso di fatto illecito, determinato dalla lesione del rapporto parentale, ciascuno dei familiari superstiti, è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, proporzionato alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare, all’età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma ed ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e dimostrare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (Cass. Sez. 3, n. 9231/2013).

La mera relazione di consanguineità non è quindi da sola sufficiente ad integrare il danno risarcibile, gravando sui congiunti l’onere di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (Cass. n. 19402/2013; n. 21230/2016).

La decisione

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha annullato la decisione con la quale il giudice di secondo grado aveva riconosciuto in capo ai fratelli della vittima di un incidente stradale il diritto al risarcimento del danno da c.d. perdita del rapporto parentale.

Nella specie, la corte di merito aveva omesso qualsiasi considerazione giustificativa che fosse diversa dalla mera relazione di parentela, liquidando il “quantum” in una misura standard, eguale per ciascun familiare, in base all’astratta relazione di parentela anagrafica.

Non aveva, invece, tenuto conto, che la vittima si era trasferita all’estero da molti anni ove viveva con la famiglia, sicché non risultava provata quella comunione di affetti con gli altri parenti, la cui lesione soltanto avrebbe potuto integrare il danno da perdita del rapporto familiare.

La redazione giuridica

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