La Regione avvia un biomonitoraggio in tutta l’area ‘esposta’, fondamentale anche nell’ottica di un adeguamento della normativa vigente

La preoccupazione per il problema Pfas in Veneto è riemersa in modo dirompente negli ultimi giorni per bocca dello stesso direttore della sanità regionale, Domenico Mantoan: “Io sono tra i super esposti – ha dichiarato il dirigente regionale – perché ho bevuto per trent’anni l’acqua di casa mia a Brendola, nel vicentino. Ora ho fino a 250 nanogrammi per grammo di Pfas nel sangue”.

La questione Pfas nelle province di Vicenza, Verona e Padova è emersa nel 2013 quando alcune ricerche sperimentali effettuate su incarico del Ministero dell’Ambiente, hanno evidenziato la presenza in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili, di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), ovvero composti utilizzati principalmente per l’impermeabilizzazione di vari materiali, dai tessuti, alla carta, ai rivestimenti dei contenitori per alimenti. Responsabile dell’ inquinamento una fabbrica di Trissino, in provincia di Vicenza, nei confronti della quale l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Veneta ha effettuato un esposto in cui si ipotizzava il reato di adulterazione e contraffazione delle acque.

Per gli inquirenti tuttavia, dal momento che la normativa italiana non definisce e non prevede limiti di concentrazione dei Pfas nelle acque, la contestazione del reato sarebbe possibile solamente previo svolgimento di uno studio epidemiologico. A livello internazionale uno studio in realtà esiste, finanziato dalla multinazionale Dupont. L’azienda, accusata nel 2001 di aver sversato nel fiume Ohio grandi quantità di sostanze perfluoroalchiliche, dovette versare, a seguito di una class action, un risarcimento di 350 milioni di dollari e finanziare uno studio indipendente sugli effetti sanitari dei Pfas, il C8 Health Project (C8HP), che dimostrò le proprietà cancerogene e di interferenti endocrini dei composti chimici.

In Veneto la Regione ha immediatamente predisposto, nel 2013, la messa in sicurezza dell’acqua potabile che, attraverso l’apposizione di filtri a carboni attivi, ha consentito di ridurre l’esposizione a tali sostanze, garantendo la qualità e la potabilità dell’acqua in distribuzione. Ma la necessità di comprendere se la passata esposizione pluriennale ai Pfas da parte dei cittadini ne avesse determinato un accumulo nell’organismo ha portato ad attivare la misura del “monitoraggio sierologico” sulla popolazione esposta. E proprio i primi risultati di tale monitoraggio, condotto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità su 507 cittadini, hanno posto la necessità di ulteriori approfondimenti.

Le analisi hanno evidenziato nella zona definita ‘esposta’ una concentrazione media per grammo di siero di alcuni biomarcatori decisamente superiore alla media nazionale delle zone non esposte. “Queste sostanze – ha affermato Loredana Musmeci, direttrice del Dipartimento Ambiente dell’Istituto Superiore di Sanità – non sono classificate come cancerogene, ma come potenziali cancerogene, anche se possono comunque causare malattie dismetaboliche”.

Per garantire la tutela della salute dei cittadini, la Regione ha illustrato le misure che saranno intraprese nei prossimi mesi. Il biomonitoraggio si protrarrà per almeno 10 anni; le analisi, effettuate a carico della sanità regionale, riguarderanno la popolazione di tutta l’area interessata dal fenomeno, partendo dalle 60mila persone più esposte della provincia di Vicenza per poi estendersi a tutti i 250mila cittadini dei comuni del Veronese e del Padovano coinvolti. Chi risulterà positivo agli esami verrà seguito con un protocollo di follow-up semestrale a partire da gennaio 2017.

Si tratta di un passo importante nell’ottica della modifica della classificazione di cancerogenicità dei Pfas fatta dello Iarc, che determinerebbe in tal modo anche un adeguamento del profilo delle responsabilità penali. Nel frattempo, la Regione Veneto attende il parere dell’Avvocatura Regionale circa la possibilità di rivalersi nei confronti della ditta che ha inquinato per danni sanitari e ambientali, e presenterà al Governo l’istituzione di un nuovo sito inquinato di interesse nazionale.

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