La Cassazione ha fornito chiarimenti sui casi in cui l’avvocato si avvalga di prestazioni di domiciliazione presso i colleghi in relazione all’Irap

Cosa accade ai fini dell’Irap se l’avvocato si avvale di prestazioni di domiciliazione presso i colleghi, sostituzioni e procuratorie?
Ebbene, in questi casi, gli esborsi collegati a queste prestazioni non rilevano a fini Irap.
A dirlo è la Corte di Cassazione, VI sezione civile, nell’ordinanza n. 26332/2017.

Per i giudici, infatti, se l’avvocato si avvale di prestazioni di domiciliazione presso i colleghi viene a mancare il presupposto della autonoma organizzazione. Presupposto fondamentale richiesto per il pagamento Irap.

Nel caso in esame, la Corte si è espressa sul ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una sentenza della CTR.
Questa si era pronunciata a favore della contribuente in relazione al silenzio-rifiuto dell’ente nei confronti di un’istanza di rimborso IRAP da lei avanzata. Questa era relativa agli anni dal 2005 al 2007.
Infatti, l’Agenzia delle Entrate lamentava vizio di nullità della sentenza che si sarebbe limitata ad affermare che i compensi a terzi sono “verosimilmente” imputabili a prestazioni esterne.
Inoltre, la ricorrente ha ritenuto che i giudici d”appello avessero erroneamente considerato non sussistente il requisito “dell’autonoma organizzazione”, quale presupposto d’imposta al quale questa doveva essere assoggettata.
Ciò per il fatto che si era avvalsa, nell’esercizio della professione forense, di “lavoro altrui”: la CTR, in sostanza, avrebbe ritenuto di prescindere dalla natura e dalla rilevanza della attività concretamente svolta dai terzi collaboratori.

Come sostenuto dalla Cassazione, la CTR si è sforzata di ricostruire la vicenda professionale della contribuente ai fini IRAP.

E, lo ha fatto, con una motivazione che si pone al di sopra del “minimo costituzionale”.
I giudici hanno ricordato quindi il valore del principio secondo cui, “in tema d”IRAP, non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all”esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività”.
Vale a dire, i compensi corrisposti a colleghi del professionista in caso di sostituzioni, in quanto trattasi di esborsi che non rilevano di per sé a fini IRAP.
Alla luce di tali considerazioni la Cassazione ha rigettato il ricorso.
La Commissione avrebbe fatto corretto uso dei principi giurisprudenziali in tema di compensi a terzi.
Questo perché ha ritenuto che, sulla base della documentazione in atti, gli importi erogati, rapportati all”ammontare dei compensi, erano imputabili a prestazioni esterne (procuratorie e domiciliazioni) non indicative di significativo apporto di terzi.
 
 
 
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