«La colpa eventuale del sanitario che ha in cura il paziente non si estende al primario assente per il semplice fatto che ricopra un ruolo apicale. La responsabilità civile da contatto sociale, infatti, attiene, non ad un oggettiva responsabilità sui malati del reparto, ma alla soggettività dell’intervento vero e proprio che, in caso di non presenza in reparto viene a mancare». 

La sentenza in discorso (Cassazione Civile Sez. 3 Sentenza Num. 6438 del 31/3/15) offre una interpretazione chiarificatrice circa le reali responsabilità della figura del Primario. Tale figura professionale, per il ruolo apicale che ricopre, è spesso convenuta in giudizio al di là del reale ruolo che ha rivestito in eventi avversi. Ciò accade essenzialmente per due motivi: il primo inerente la convenienza strategica di avere una controparte ulteriore alla quale richiedere il pagamento di eventuali danni; il secondo inerente l’interpretazione delle vigenti leggi in materia (D.P.R. n. 128/69 ed art 7 del   D.P.R. n. 7/1969) che viene effettuata, non senza malizia, concentrandosi esclusivamente sulla responsabilità oggettiva del Primario che viene estesa a tutti i malati presenti in reparto.

Il Caso

A seguito di intervento di riduzione ed osteosintesi di frattura del femore su soggetto di sesso femminile, intervennero delle complicanze di tipo vascolare che portarono a nuovo intervento, presso altro nosocomio, di amputazione dell’arto inferiore destro a causa di una gangrena venosa. La paziente decise allora di citare in giudizio il primo Ospedale ed il Primario del reparto di Ortopedia chiedendo il risarcimento di ogni danno patito in seguito alle lesioni gravissime subite. Il fondamento della domanda nei confronti del Primario, risiedeva nella responsabilità da contatto sociale oggettiva dello stesso in riferimento al controllo sui pazienti e sui medici del reparto del quale era a capo. Nel costituirsi in giudizio, il detto professionista, dopo aver evidenziato che la complicanza non era riconducibile all’operato dei medici del proprio reparto, i quali avevano applicato tutti i protocolli anche in riferimento alla somministrazione di eparinosimili, adduceva comunque la sua estraneità ai fatti per essere lo stesso in ferie sin da prima del ricovero della paziente e fino a dopo la dimissione dello stesso.

Sulla base di tali considerazioni e delle risultanze della disposta CTU, il Tribunale di primo grado rigettò le richieste di risarcimento, mentre, la adìta Corte di Appello, accoglieva il proposto gravame riformando la sentenza del Tribunale, accertando che le lesioni patite dalla signora (intanto deceduta) erano da imputarsi alla condotta dei sanitari dell’Ospedale e, quindi, condannava in solido il primario e la struttura al pagamento in favore degli eredi, di una ingente somma di denaro. La vicenda giunse all’attenzione degli Ermellini su ricorso presentato dal Primario, il quale, nel ribadire la sua assoluta estraneità ai fatti, evidenziava una errata applicazione della legge sulla dirigenza medica, sul rilievo che il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128  , delineava la responsabilità del  Primario nel caso di intervento diretto sui malati per interventi diagnostici e curativi che non ritenga di affidare ai suoi collaboratori, ipotesi non verificatasi essendo lo stesso in ferie.

Con la sentenza in commento, la Cassazione ha accolto le tesi del Primario chiarendo quali siano i limiti della responsabilità soggettiva da contatto sociale e, soprattutto, quali siano i limiti della responsabilità del Primario di Ospedale che mai possono essere sganciati dalla possibilità di intervenire direttamente sul paziente da parte dello stesso medico. In particolare, sostiene la Suprema Corte, il Primario non va considerato responsabile solo perché riveste tale ruolo, ed allo stesso non può essere a lui addossata una responsabilità oggettiva assoluta. La eventuale responsabilità, potrebbe essere rivenuta solo se egli, come parte del contatto sociale “stipulato” con il paziente, fosse stato presente ed in grado di intervenire sugli eventi modificandone gli esiti o, volendo risalire all’origine del rapporto “contrattuale”, se egli avesse partecipato alla fase di accettazione, visite e presa in cura del paziente. L’aver provato la propria assenza, per essere lo stesso in ferie e, quindi, la propria estraneità ai fatti sin dall’origine degli stessi, deve portare ad estromettere il Primario il quale non risulta “parte” del rapporto “contrattuale”. Nel sinallagma costituito dal contatto sociale, quindi, così come in ogni obbligazione contrattuale, la responsabilità civile è imprescindibilmente connessa alla imputabilità soggettiva dell’inadempimento, che, nel caso di specie mancava sin dall’origine.

Le implicazioni discendenti dalla commentata decisione sono molteplici ed attengono al ruolo ed alla responsabilità del primario che viene ri-delineata in termini di effettività e soggettività. Del pari, chiarimenti importanti giungono anche in riferimento alla individuazione corretta delle parti dei c.d. “contratti da contatto sociale”. Se è vero, quindi, che la responsabilità medica ha contenuto contrattuale, è del pari vero, spiega la Suprema Corte, che parti di tale contratto potranno essere solo i soggetti che hanno avuto ruolo attivo all’interno della nascente obbligazione. Tradotto in parole semplici, occorre che un soggetto, anche di ruolo apicale, sia intervenuto o fosse stato nelle condizioni di intervenire negli eventi al fine di poter configurare nei suoi riguardi una responsabilità che, in mancanza di tale ruolo attivo, non è configurabile.

                                                                                                          Avv. Gianluca Mari

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