Presentata al Senato la relazione annuale dell’Autorità Garante relativa al 2015. Il presidente Soro: vulnerabilità dei dati può determinare casi di malasanità

Nel 2015 l’Autorità Garante della Privacy ha adottato 692 provvedimenti collegiali; ha risposto a circa 5mila quesiti, reclami e segnalazioni relativi soprattutto a marketing telefonico, ma anche credito al consumo, videosorveglianza, credito, assicurazioni, Internet, giornalismo, sanità e servizi di assistenza sociale. E ancora ha deciso 307 ricorsi con un’attività di verifica che, nel settore pubblico si è concentrata in particolar modo sulla sanità elettronica, dal fascicolo sanitario elettronico al dossier sanitario, alle prenotazioni di prestazioni online. In totale sono ben 1.700 le violazioni amministrative contestate per un valore complessivo riscosso pari a circa 3 milioni 500mila euro; 33 i casi segnalati all’autorità giudiziaria, in particolare per mancata adozione di misure minime di sicurezza a protezione dei dati.

Sono alcuni dei numeri emersi dalla relazione annuale dell’Authority per la protezione dei dati personali relativa al 2015, presentata al Senato dal presidente Antonello Soro, che, per quanto riguarda il capitolo sanità, si è soffermato sull’esposizione dei rischi derivanti dalla vulnerabilità del dato sanitario da cui possono derivare errori diagnostici o terapeutici, con conseguenze anche letali.

“La carente sicurezza dei dati e dei sistemi – ha spiegato Soro – può rappresentare in altri termini, una causa esiziale di malasanità mentre, per converso, la protezione dei dati e dei sistemi è un fattore determinante di efficienza sanitaria”. In tale ottica la digitalizzazione della sanità, secondo l’Authority, rappresenta una sfida cruciale per il nostro Paese, rispetto alla quale però “la frammentazione, l’assenza di un piano organico di sicurezza e la disomogeneità che hanno segnato le prime esperienze, appaiono ancora più pericolose”.

Per il Garante “la perdita, la sottrazione, l’alterazione di un dato sanitario, infatti, mette a rischio banche dati essenziali e, insieme, viola quanto di più intimo vi è nella persona, esponendola a gravi discriminazioni”.

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