Con ricorso presentato davanti al Tar Lazio, l’Associazione Radicale Certi Diritti e il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Onlus avevano impugnato l’ordinanza comunale con la quale il sindaco vietava tout court il fenomeno della prostituzione

A decorrere dal 15/11/2018 e fino al 15/06/2019, su tutto il territorio comunale, era disposto il divieto (i) “a chiunque, sulla pubblica via e su tutte le aree soggette al pubblico passeggio del territorio del comune, di contattare soggetti dediti alla prostituzione, concordare prestazioni sessuali a pagamento, consentire la salita sui propri veicoli per le descritte finalità , eseguire manovre pericolose o di intralcio alla circolazione stradale, ivi compresa la sosta e/o fermata al fine di porre in essere i comportamenti delineati”; (ii) “a chiunque di porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco a offrire prestazioni sessuali a pagamento, assumendo atteggiamenti, modalità comportamentali ovvero indossare abbigliamenti o mostrare nudità che manifestino, inequivocabilmente, l’intenzione di adescare o di esercitare l’attività di meretricio”, e con la quale era stata stabilita per la violazione della predetta ordinanza l’importo del pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 500.
L’ordinanza, assunta in ragione dell’asserita sussistenza di esigenze di incolumità pubblica e sicurezza urbana, era stata contestata dalle predette associazioni per violazione di legge ed eccesso di potere.

I motivi di ricorso

Da una parte, vi era l’indeterminatezza delle condotte vietate e sanzionate, nonché l’assenza di un adeguato substrato motivazionale, dall’altro la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità oltre alla lesione dei diritti e delle libertà fondamentali di cui all’art. 2 Cost.; inoltre erano ravvisabili profili di illegittimità costituzionale dell’art. 54 comma 4 bis TUEL ove interpretato nel senso di legittimare il Sindaco all’esercizio del potere extra ordinem, anche con la finalità di perseguire la prostituzione in quanto tale, senza per nulla considerare le condizioni di sfruttamento degli individui che esercitano tale attività.
Accertata la legittimazione dell’associazione ricorrente, ad agire in giudizio, il Tar Lazio si è finalmente pronunciato nel merito.
In primo luogo è stato rilevato che le condotte vietate (e sanzionate), erano descritte nel provvedimento impugnato, con un insufficiente grado di determinatezza, come reso evidente dall’uso di espressioni, quali “atteggiamenti”, “modalità comportamentali” o modi dell’”abbigliamento”, riferite, dunque, a condotte e a profili inerenti alla sfera delle stesse modalità di espressione della personalità, verosimilmente di dubbia lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana.
Non soltanto; ma l’ordinanza in questione, estendeva il divieto a tutto il territorio comunale senza che ciò fosse supportato da un accertamento di specifiche situazioni riferibili all’esigenza di tutela della sicurezza urbana.

La pronuncia del Tar

«Ebbene, l’ordinamento vigente – ha aggiunto il Tar Lazio –  non consente la repressione di per sé, dell’esercizio dell’attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento e ciò a prescindere dalla rilevanza che tale attività possa assumere sotto altri profili, autonomamente sanzionabili, per le modalità con cui è svolta o per concreta lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana».
Del resto, la sussistenza di “gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana” era stata solo formalmente evocata; non potendo perciò, essere sufficiente a sorreggere la determinazione adottata che – a detta del giudicante – pareva corrispondere più ad un giudizio di valore di carattere etico e morale, a fronte di un fenomeno in continua espansione sul territorio comunale, ma senza essere supportato da evidenze istruttorie concrete e attendibili, atte a denotare la sussistenza del presupposto delle concreta minaccia agli interessi pubblici tutelati dall’art. 54, commi 4 e 4bis del TUEL e della eccezionalità e gravità del pericolo.
E’ noto, per espressa previsione normativa, che le ordinanze contingibili e urgenti di competenza del Sindaco costituiscano strumenti apprestati dall’ordinamento per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere eccezionale, per le quali sia impossibile o inefficace l’impiego dei rimedi ordinari, e si presentano quali mezzi di carattere residuale, i cui tratti distintivi sono per l’appunto costituiti dall’atipicità, dalla valenza derogatoria rispetto agli strumenti ordinari, dalla particolare qualificazione sia della minaccia, sia del pericolo.

La violazione del principio di proporzionalità

Del pari, sono state ritenute fondate le deduzioni dirette a contestare la violazione del principio di proporzionalità, stante l’indeterminatezza delle condotte vietate, l’indiscriminata estensione del divieto su tutto il territorio comunale, la diretta incidenza su diritti e libertà individuali, con la previsione della irrogazione di una sanzione pecuniaria in misura fissa e generalizzata suscettibile, come rilevato dalle associazioni ricorrenti, di dispiegare la propria portata afflittiva essenzialmente sulle vittime della catena criminale.
Per questi motivi, il ricorso è stato accolto e annullata, in via definitiva, l’ordinanza impugnata.

La redazione giuridica

 
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