La corresponsione di un compenso a cadenze fisse è maggiormente compatibile con la logica del corrispettivo della prestazione e deve, quindi, considerarsi elemento sintomatico della subordinazione.

Con la sentenza n. 4535 del 27 ottobre 2018, la Corte di Cassazione ha fornito alcune interessanti precisazioni circa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.).

Più in particolare, se due fratelli lavorano assieme, quand’è che il rapporto tra i medesimi può considerarsi di tipo subordinato?

Il caso di specie esaminato dai giudici ha visto come protagonista un soggetto che aveva agito in giudizio nei confronti del fratello.

Quest’ultimo era titolare di una ditta individuale. Ebbene, l’azione in giudizio era avvenuta al fine di veder riconosciuta la “natura subordinata del rapporto intercorso con quest’ultimo”, con conseguente “condanna del medesimo al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione al predetto rapporto”.

La domanda era stata accolta sia in primo che in secondo grado. Questo poiché i giudici avevano ritenuto “comprovata la subordinazione per l’inserzione costante e regolare nell’organizzazione aziendale della stessa con la prestazione di attività lavorativa giornaliera ad orario pieno a fronte della quale veniva corrisposto con regolarità un corrispettivo mensile”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il fratello condannato si era rivolto in Cassazione. 

Questa, tuttavia, ha ritenuto il ricorso infondato, rigettandolo.

Infatti, dagli accertamenti effettuati erano emerse una serie di circostanze di fatto – “quali la presenza costante, l’osservanza di un orario coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale” – tali da poter ritenere configurato un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato tra i due fratelli.

Non solo. “La corresponsione di un compenso a cadenze fisse” affermano i giudici, è “maggiormente compatibile con la logica del corrispettivo della prestazione” e deve, pertanto, considerarsi “elemento sintomatico della subordinazione”.

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso proposto dal soggetto in questione.

La sentenza è stata quindi integralmente confermata.

 

 

 

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