La monodisciplinarietà di osservazione delle emergenze e la monodirezionalità degli interventi adottati non risolvono i problemi

Due sono le chiavi di lettura alla base dei fallimenti delle iniziative intraprese dal MIUR e da alcuni esponenti politici per arginare le singole emergenze, quali le dipendenze, i fenomeni di violenza, auto ed etero-referenziale, trasversali a tutti gli ambiti del sociale:  la monodisciplinarietà di osservazione di ogni singola emergenza, che comporta in sé l’impossibilità di individuare la natura multicausale e multifattoriale dei fenomeni oggetto di osservazione; la monodirezionalità degli interventi adottati per ogni specifica emergenza, collocata in uno specifico segmento ambientale e sociale, i cui risultati per contro vengono utilizzati per una generalizzazione impossibile in virtù dell’unicità di ogni singolo destinatario finale degli interventi alla base delle emergenze.

Questo che cosa ha prodotto ad oggi? Una serie infinita di proposte di legge, alcune delle quali approvate, divenute disegni di legge, interi apparati ministeriali applicati ad erogare ingenti risorse pubbliche per ogni singola presunta velleità degli stessi vertici o di enti politicamente sponsorizzati dai medesimi, senza alcuna corrispondenza a linee programmatiche di interventi strutturati ed organici in grado di garantire un minimo di scientificità e di porsi nell’ottica di una verificabilità e riproducibilità degli interventi adottati che, solo  in questo caso, garantirebbero la possibilità di una generalizzazione delle strategie selezionate.

A riprova di ciò abbiamo avuto la compulsiva rincorsa dei ministeri e della politica nell’ultimo triennio a sferrare attacchi disorganizzati al bullismo e cyberbullismo con leggi generate dall’emotività di una ex dirigente scolastica, divenuta poi parlamentare e firmataria di una legge che ad oggi non è di fatto servita a modificare tale fenomeno. E a seguire,  apparati ministeriali e politici che per accrescere il proprio prestigio e giustificare il proprio potere hanno imposto, a livello nazionale,  unilaterali interventi con allegati decaloghi contro le fake news e a favore dell’uso taumaturgico dello smartphone, elevato a fonte rinnovata per fare didattica, su uno sfondo dove l’innovazione tecnologica e digitale è diventata il nuovo dio a cui tutto è sottomesso e da cui dipende il destino dell’umanità di cui i bambini, ragazzi e adolescenti, così allevati,  saranno parte integrante.

A questo periodo di fioritura di iniziative che a ben guardare nei fatti si sono rivelate, non ingegnose, ma piuttosto irrazionali ed impulsive, appartiene anche l’idea che, per superare l’incrementale fenomeno dei DSA (disortografia, dislessia, disgrafia, discalculia), arrivato ormai alla soglia dell’ingestibilità, il rimedio consista nell’estendere l’uso dei dispositivi digitali, non soltanto al target  degli studenti con disabilità, a cui dovrebbe essere riservato, ma bensì a tutti e fin dalla più tenera età.

L’ipersemplificazione e la superficialità nell’analisi e nel trattamento di problematiche quali i DSA per esempio, coinvolgenti la sfera evolutiva dei soggetti nel campo educativo e formativo, mal si coniugano con una gestione efficace e deontologicamente responsabile di problematiche che stanno assumendo sempre più l’aspetto di conclamate emergenze del mondo della scuola a tutti i livelli e gradi. Una visione miope ed ipersemplificante, in alcuni casi addirittura alienante, di problemi, quali i DSA, che nelle ricadute stanno alla base di problematiche più complesse e di più rilevante gravità, come per esempio deficit cognitivi ed intellettivi, dell’apprendimento, della memoria, della concentrazione, che incidono sulla maturazione e sullo sviluppo equilibrato della personalità, vanno affrontate in modo multidisciplinare e con un orientamento allargato ed inclusivo.

L’idea di smantellare tutto il passato e di collocare nell’obsolescenza il sapere tradizionale e le modalità di apprendere tradizionali sostituendole, senza alcuna graduale evoluzione, con i più attuali ritrovati della scienza e della tecnica,  rischia di espungere nel passaggio  chi di tali  processi  dovrebbe beneficiare,  senza alcuna diretta espressione di consenso da parte sua. E questo, in quanto il consenso, come la responsabilità e la capacità critica si matura nell’uomo coltivandolo nelle pratiche educative fin dai banchi di scuola e lungo l’arco della vita. Non nasce da prescrizioni di tecnici, impartite dalla cattedra sulla spinta emotiva dettata dall’urgenza di risolvere una certa specifica emergenza, né tantomeno scaturisce dall’uso affinato, guidato, ma soprattutto smodato e assolutizzato, dei mezzi tecnologici e digitali che governano autoritariamente con il beneplacito delle istituzioni la didattica,  con il compito di sviluppare la responsabilità, la capacità critica e l’autonomia.

Dott.ssa Mara Massai

Sociologa, Dottore di ricerca in Criminologia

esperta in Tecniche Investigative in Criminologia e Vittimologia

Project Manager

Presidente di AS.SO.GRAF. (Associazione Culturale di Sociologia e Grafologia)

 

 

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