Previsto e punito dall’art. 323 c.p., il reato di abuso di ufficio fa parte di quei delitti perpetrati contro la Pubblica Amministrazione

Il reato di abuso di ufficio risulta disciplinato dall’art. 323 c.p. e rientra nell’alveo dei delitti contro la Pubblica Amministrazione.
Occorre immediatamente premettere che in materia è intervenuto il Legislatore il quale, mediante la Legge n° 190/2012 (definita, appunto, “Legge anticorruzione”) ha apportato significative modifiche, prevedendo, altresì, un forte inasprimento delle pene.
Un ulteriore intervento legislativo è stato poi effettuato anche nel 2015, mediante la Legge n° 69/2015 (c.d. “Legge anticorruzione 2015”), la quale ha incrementato i limiti edittali sia minimo che massimo della reclusione.
Ebbene, fatta questa breve premessa, analizziamo ora gli elementi costitutivi dell’addebito, ex art. 323 c.p..
Innanzitutto, risulta opportuno ad avviso di chi scrive evidenziare la differenza tra l’abuso di potere e l’abuso di ufficio.
L’abuso di potere è un illecito di tipo squisitamente amministrativo che si configura allorquando un diritto soggettivo viene esercitato con lo scopo di non perseguire più l’interesse per cui tale diritto è stato appunto sancito.
L’abuso di ufficio, per converso, è un reato e, dunque, un illecito penale, che si configura allorquando il pubblico ufficiale ovvero l’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle sue funzioni o del servizio, violando norme di Legge o di regolamenti ovvero omettendo di astenersi nei casi prescritti dalla Legge, procura a se o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.
Trattasi, dunque, di un reato proprio che presuppone una violazione di una norma di Legge o di regolamento ovvero una violazione dell’obbligo di astensione, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
Dunque, l’abuso può essere di due tipologie: l’abuso che produce un danno ingiusto ovvero l’abuso che determina un vantaggio patrimoniale.
Ne consegue, pertanto, che nelle ipotesi di abuso di ufficio la persona offesa dal reato è sia lo Stato, in quanto viene appunto inficiato il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza della Pubblica Amministrazione, sia il privato cittadino, che vedrà appunto leso il proprio interesse privato.
Dunque, il bene giuridico protetto dalla norma in esame è quindi quello della imparzialità, del buon andamento e della trasparenza della Pubblica Amministrazione, che sono dei principi enunciati dall’art. 97 della Carta delle Leggi.
Per quanto concerne, infine, il soggetto attivo, la fattispecie de qua può essere consumata solamente dal pubblico ufficiale ovvero dall’incaricato di un pubblico servizio, nell’esercizio appunto delle loro funzioni.
 

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 
 
 
 
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1 commento

  1. la Commissione Equitativa dell’università di torino ha proditoriamente respinto la mia sacrosanta istanza di riammissione alla fascia contributiva ridotta, troncando senza ritegno la mia possibilità di laurearmi a tre esami dal traguardo e rovinandomi la vita, per di più dopo un’oscena farsa durata un anno e REATI gravissimi come OMISSIONE DI ATTI DOVUTI, SOTTRAZIONE DI CORRISPONDENZA E ABUSO DI POTERE commessi dall’Amministrazione universitaria, reati di cui è testimone il Consiglio degli Studenti. La collocazione nelle fasce contributive è spesso ARBITRARIA, considerato che studenti stranieri veramente benestanti hanno la borsa di studio e studenti-lavoratori in enorme difficoltà come me vengono salassati senza pudore

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