Sono tre i Tribunali che hanno censurato di fronte alla Corte Costituzionale alcuni cardini essenziali del reato di omicidio stradale

Roma, Forlì e Torino sono i tre Tribunali che, dinanzi alla Corte Costituzionale, hanno censurato alcuni aspetti cruciali del reato di omicidio stradale.

Lo scontro è in particolare su alcuni inasprimenti introdotti dalla legge 41/2016. Vediamo quali sono.

Il primo punto riguarda l’articolo 590 quater del Codice penale.

Quest’ultimo, disciplina il calcolo delle circostanze dell’omicidio (articolo 589 bis) e delle lesioni stradali (articolo 590 bis).

Secondo il Tribunale di Roma (ordinanza 16 maggio 2017) e quello di Torino (ordinanza 8 giugno 2018), la norma è incostituzionale.

Ciò in quanto impedirebbe al giudice di bilanciare le aggravanti con l’attenuante speciale prevista al comma 7 degli articoli 589 bis e 590 bis.

Quest’ultima prevede una diminuzione fino alla metà della pena determinata dall’aggravante se l’evento non è esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole.

Per comprendere la questione di costituzionalità del reato di omicidio stradale proposta, va ricordato che omicidio e lesioni personali stradali sono reati autonomi rispetto all’omicidio colposo e alle lesioni personali colpose.

Inoltre, l’ipotesi-base del reato di omicidio stradale si configura in presenza di una qualunque violazione delle norme sulla circolazione stradale.

Questo significa che, se scatta una delle aggravanti previste nei commi successivi, le pene vengono più che triplicate.

Le aggravanti previste sono: abuso di alcol o droghe e condotte di guida pericolose. Tra queste vi sono la velocità molto alta e la circolazione contromano o con il semaforo rosso. Ma anche l’inversione di marcia in condizioni di poca visibilità, in prossimità di incroci o dopo un sorpasso.

Ancora: l’articolo 590 quater prevede un blocco delle attenuanti. Esso riguarda anche la diminuente speciale prevista dal comma 7 degli articoli 589 bis e 590 bis per i casi di concorso di colpa.

In base alle ordinanze, questa previsione è irragionevole.

Essa, infatti, comporterebbe un eccessivo aumento di pena. Non solo.

Questo avverrebbe senza considerare “l’effettivo contributo causale dato all’evento”. E, inoltre, compromettendo la finalità rieducativa della pena, alla quale “il reo tenderà a non prestare adesione (…) per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta, del tutto svincolata dalla gravità della propria condotta”.

Alla luce di ciò, ora la Consulta dovrà fare chiarezza. In particolare, sulla differenza tra l’attenuante generale prevista dall’articolo 114 e la diminuente speciale prevista dal comma 7 degli articoli 589 bis e 590 bis.

Da comportamenti molto simili, infatti, possono discendere conseguenze molto rilevanti.

E, su questo punto specifico, la Consulta avrà il compito di prendere una decisione.

 

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