Responsabilità penale di Tizio, in qualità di manutentore dell’ascensore di un nosocomio, per aver cagionato la morte di Caio, soggetto su sedia a rotelle

La vicenda oggetto di questa mia breve disamina trae origine dalla morte di un paziente su sedia a rotelle. In particolare, nell’ottica accusatoria, Tizio, in qualità di manutentore dell’ascensore ubicata presso un nosocomio, avrebbe cagionato la morte di Caio, soggetto su sedia a rotelle, verificatosi in quanto l’infermiera, dopo aver richiamato l’elevatore con la chiave di emergenza a lei in uso, dietro espressa autorizzazione del suo responsabile, procedeva all’accesso in cabina senza affatto rendersi conto che l’ascensore non fosse sul piano, cagionando dunque la caduta accidentale del paziente nel vuoto e pertanto la sua morte.

In primo grado di giudizio Tizio veniva assolto e la Corte territoriale, poi, emetteva sentenza di riforma, dichiarando agli effetti civili la penale responsabilità dell’imputato.

Tizio, nella sua qualità di manutentore dell’elevatore, ricorreva dinanzi la Suprema Corte ritenendo che vi fosse stata, nel caso di specie, una violazione della Legge penale.

In particolare, egli riteneva che alcuna penale responsabilità fosse ad egli addebitabile, poiché alcun obbligo di bloccare l’impianto gravava in capo all’imputato, atteso che non sussisteva alcun pericolo, asserendo peraltro che il guasto intervenuto era stato cagionato dal malfunzionamento dell’elettroserratura della porta della cabina, con conseguente blocco meccanico della porta, che quindi rimaneva chiusa, in modo permanente, con conseguente inutilizzabilità dell’ascensore, non accessibile.

L’impianto, quindi, era bloccato ed inutilizzabile e la chiave di emergenza, in dotazione obbligatoria ad un responsabile reso edotto di tutte le istruzioni, ai fini della espressa concessione ed autorizzazione al personale medico e paramedico, è l’unico strumento che consente di forzare il blocco meccanico e di aprire la porta della cabina ma essa va utilizzata esclusivamente in casi di emergenza.

Peraltro, tale chiave era stata affidata ad un soggetto responsabile, reso pienamente edotto del suo prudente utilizzo.

Pertanto, l’imputato riteneva che la morte del paziente fosse stata cagionata dall’infermiera, la quale aveva utilizzato la chiave di emergenza per motivi di comodità e non per necessità.

Infatti, il Giudice di merito aveva evidenziato che l’utilizzo della chiave di emergenza e dunque l’apertura manuale del vano ascensore era consentita solamente in situazioni di emergenza, che non sussisteva nel caso in esame, poiché l’infermiera aveva usato la cabina ascensore solo per mera comodità, potendo infatti utilizzare la rampa esterna destinata proprio alle persone sulla sedia a rotelle.

Ebbene, precisa la Suprema Corte (sentenza n° 39125/2018) che un profilo di colpa dell’infermiera, ai sensi dell’art. 41 co. 2 c.p., sussisterebbe solo nel caso in cui la condotta della medesima fosse connessa a quella del manutentore.

Nella vicenda de qua, per converso, l’infermiera aveva agito nel pieno rispetto delle proprie regole cautelari, essendo stata peraltro anche espressamente autorizzata dal suo dirigente all’utilizzo dell’ascensore mediante l’uso della chiave di sblocco, a causa di problemi che l’impianto aveva mostrato nei giorni precedenti.

In definitiva, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso e condannato il ricorrente, Tizio, manutentore, al pagamento anche delle correlative spese processuali.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 

Leggi anche:

ESCLUSA LA NON PUNIBILITÀ IN CASO DI NEGLIGENZA DEL SECONDO OPERATORE

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui