Il caso: Condanna per omicidio colposo a carico di un chirurgo, primario all’ospedale di Vibo Valentia, ritenuto colpevole di non essersi avvalso “dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli” – di capo dell’equipe – e di non aver bloccato la scelta dell’anestesista, di praticare una anestesia generale con curaro su una ragazzina per reciderle un ascesso alla gola, pur avendo manifestato dissenso da questa decisione che, poi, portò alla morte la paziente e rese vano il tentativo di tracheotomia da lui praticato.

La Cassazione ha chiarito un punto controverso in tema di responsabilità di equipe e ruolo del “capo-equipe” nell’organizzazione della sala operatoria. Con la sentenza del 28 luglio 2015 n. 33329, i giudici della Suprema Corte danno maggior risalto al ruolo di guida del capo gruppo di lavoro, precisando che in sala operatoria non può in alcun modo esservi anarchia. Il caso di specie riguarda la condanna per omicidio colposo di un chirurgo primario ritenuto colpevole di non essersi avvalso, bloccando la scelta dell’anestesista, “dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli” di capo dell’equipe.

La Cassazione afferma che la sala operatoria “va sottratta all’anarchismo”, con ciò intendendo che il “capo-equipe” non può “disinteressarsi del tutto dell’attività degli altri terapeuti”.

Per essere comprensibile questo concetto è necessario rammentare che lo svolgimento del lavoro di equipe in sala operatoria, si basa sul “principio di affidamento” tra operatori (vige la fiducia reciproca tra anestesista, chirurgo, ferrista, ecc.) e ciò al fine di evitare che, il generale principio della responsabilità professionale, costruito sul modello del singolo soggetto che agisce isolatamente, porti a comportamenti e conseguenze disastrose per il paziente.

In forza di detto principio di “affidamento”, ogni componente dell’equipe operatoria conta sul “corretto adempimento degli altri soggetti” che sono tenuti all’osservanza di regole di condotta. Questo dovrebbe comportare, unitamente alla applicazione degli altri principi generali in materia di responsabilità d’equipe, una maggiore “rilassatezza” da parte degli operatori durante gli interventi chirurgici.

D’altra parte, il principio generale operante è che “ogni partecipante (al lavoro di sala operatoria) è responsabile solo del corretto adempimento dei doveri di diligenza e di perizia inerenti ai compiti che gli sono specificamente affidati, perché solo in questa maniera ciascun membro del gruppo è lasciato libero, nell’interesse del paziente, di adempiere in modo soddisfacente alle proprie mansioni”.

Nel tempo, tra “elucubrazioni” dottrinali e vari orientamenti giurisprudenziali, si è giunti alla individuazione di alcuni principi fermi applicabili alla responsabilità della medicina d’équipe, che hanno come denominatore comune l’affidamento che ogni componente dell’equipe fa sulla correttezza dell’operato degli altri.

Ma è pur vero che, questa forma molto delicata di esimente non può giungere, come correttamente affermato dalla Cassazione nella sentenza in commento, ad ingenerare nel lavoro di equipe una sorta di disinteresse diffuso sull’operato reciproco tra medici e tecnici. Infatti, vi è un limite che è rappresentato dal palese comportamento scorretto di altri membri dell’equipe: in questo caso vi è l’obbligo di intervenire e correggere l’errore o mettere in atto comportamenti tesi alla riparazione dell’errore.

Più in particolare, quando un professionista in rapporto alle circostanze concrete può avere la previsione o la prevedibilità ed evitabilità della pericolosità del comportamento scorretto altrui, deve adottare le misure cautelari per ovviare ai rischi dell’altrui scorrettezza e ciò, sempre e comunque, nell’interesse preminente della tutela della salute del paziente.

Questo principio, però, si scontra con il logico limite del sapere di ogni professionista che non può essere illimitato e, talvolta, è particolarmente specifico come nel caso medico anestesista.

In caso di medici di diversa specialità, l’evoluzione della responsabilità e delle competenze si è stratificata nel corso dei decenni. Inizialmente si riconosceva sempre al capo equipe primo operatore il ruolo di dominus assoluto dell’equipe e il chirurgo rispondeva sempre, proprio in qualità di capo equipe, dell’operato anche dell’anestesista, ma non vigeva reciprocità e, di conseguenza, l’anestesista non rispondeva del fatto del chirurgo. Nel corso degli anni la giurisprudenza ha affrancato la responsabilità del chirurgo rispetto a quella dell’anestesista sulla base del principio dell’affidamento e dell’essere, l’anestesista, titolare di un sapere specialistico non appartenente al chirurgo.
Questo orientamento, con la sentenza in commento, è stato meglio esplicato nel senso che, quando l’anestesista opera scelte connesse al suo ruolo di medico specialista della propria branca risponde personalmente delle scelte operate; quando, invece, propone interventi il cui sapere rientra in un contesto di comune cognizione di altri medici, riaffiora il ruolo di “capo-equipe del chirurgo primo operatore”, il quale a “fronte del rifiuto di attenersi alle direttive impartite” dall’anestesista “ben potrà sospendere l’attività” o, “allontanare l’anestesista”.

I fatti sottoposti all’attenzione della Cassazione riguardano specificatamente il rapporto chirurgo otorino –anestesista. La Suprema Corte afferma che spetta al chirurgo otorino la “ponderazione delle implicazioni dell’anestesia curarica” sull’edema, con la conseguenza che il primo operatore avrebbe dovuto impedire l’anestesia che, insieme ad altre complicanze, ha portato al decesso della paziente.

Sul punto la Cassazione precisa: “Il lavoro in equipe vede la istituzionale cooperazione di diversi soggetti, spesso portatori di distinte competenze e tale attività deve essere integrata e coordinata e sottratta all’anarchismo”. A tal fine “assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro che non può disinteressarsi del tutto dell’attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla”. Di conseguenza “nei suoi confronti non opera, in linea di massima, il principio di affidamento”. Ed ancora afferma, con particolare attenzione sempre al rapporto anestesista – chirurgo: “l’anestesista rianimatore è portatore dei conoscenze specialistiche ed assume la connessa responsabilità in relazione alle fasi di qualificata complessità nell’ambito dell’atto operatorio. Diverso discorso va fatto, invece, per ciò che attiene a scelte e determinazioni che rientrano nel comune sapere di un accorto terapeuta; nonché per quanto riguarda ambiti interdisciplinari, nei quali è coinvolta la concorrente competenza di diverse figure. In tali situazioni riemerge il ruolo di guida e responsabilità del capo equipe. Ciò vuol dire che quando l’errore è riconoscibile perché banale o perché coinvolge la sfera di conoscenza del capo equipe, questi non può esimersi dal dirigere la comune azione ed imporre la soluzione più appropriata, al fine di sottrarre l’atto terapeutico al già paventato anarchismo. Egli dovrà dunque avvalersi dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli”. Mentre, giustamente, il principio di affidamento torna operativo nelle attività in cui la competenza del medico anestesista esprime il proprio specifico ed esclusivo sapere disciplinare.

In conclusione, dalla sentenza in commento si evince una ripartizione di responsabilità incentrata sul presunto sapere o competenza professionale dello specialista. Rimanendo, comunque, fermo il principio che il primo operatore è onerato di obblighi di sorveglianza e di poteri di direzione nei confronti dell’anestesista in quanto il chirurgo è in ogni caso il capo equipe.

Avv. Fabrizio Cristadoro
(Foro di Messina)

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2 Commenti

  1. Sentenza scandalosa Dove e’ scritto “ufficialmente” che il chirurgo deve condizionare l’anestesista? Che dice la Siarti???

    • Non c’è scritto in nessun posto e neppure nell’articolo. Si indica solo la necessità, per la tutela del paziente, di evitare anarchia in sala operatoria. Poi le sentenze esprimono un orientamento sin quando non sono a sezioni unite.

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