Quando un professionista sanitario incorre “nelle maglie” della giustizia penale, il senso di disorientamento, se non di autentica prostrazione, rischia di minarne la doverosa serenità che deve accompagnarlo nel quotidiano, anche in considerazione dell’estrema complessità e delicatezza delle sue incombenze. Ciò specie tenendo presente che se può aver vaga percezione – magari perché già la struttura ospedaliera ha ricevuto la richiesta risarcitoria, o perché siano scattate le prime consuete misure investigative (il sequestro della cartella clinica, l’esame autoptico etc.) – che un paziente o i di lui familiari lo abbiano denunziato all’autorità giudiziaria, il medico non ha, né può avere, esatta cognizione dell’incolpazione che comincia a profilarsi a di lui carico.

Il sistema processuale italiano, infatti, è tale per cui alla presentazione di un esposto o di una querela non corrisponde automaticamente ed “in tempo reale” una comunicazione per l’indagato dell’intervenuto avvio di indagini preliminari. Anzi, può accadere – ed accade spesso! – che si abbia conoscenza che nel frattempo si sono svolte (e chiuse) indagini a proprio carico solo al ricevimento di un avviso (ex art. 415 bis c.p.p.) che per l’appunto informa che le stesse sono state completate, non intendendo il pubblico ministero chiedere l’archiviazione.

Ciò si verifica, in particolare, in quei casi in cui non debbano compiersi accertamenti tecnici cd. irripetibili (il più tipico dei quali è l’esame autoptico), e cioè quando a) l’evento non sia stato letale; oppure b) la denuncia del fatto sia stata sporta non nell’immediatezza dei fatti, ma successivamente (ed in caso di decesso quando non sia più possibile e/o consentito procedere alla dissezione).
In tale frangente, solitamente la Procura designa uno o due consulenti – nella prassi, un medico legale ed uno specialista della materia coinvolta nella vicenda – chiamati ad accertare le cause dell’occorso, la loro possibile riconduzione ai professionisti medici che abbiamo avuto in cura la persona vittima di lesioni o morte e soprattutto se la loro condotta sia stata o no conforme a quella che era lecito attendersi, in base alle più accreditate linee guida.

Il legale del medico che abbia “sentore” di un indagine in corso, esperite le verifiche, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., finalizzate a risalire al numero identificativo del procedimento penale ed al nominativo del sostituto procuratore titolare di esso, potrà designare propri consulenti tecnici.
Sebbene il codice non preveda espressamente un “contraddittorio” tra i consulenti del p.m. e quelli della difesa, è opportuno comunque che questi ultimi si attivino da subito anche per poter fornire elementi utili alla posizione dell’indagato (sempre che – ovviamente – ciò risponda strategicamente alla linea difensiva delineata dall’avvocato!).

Diversamente, in tema di accertamenti tecnici irripetibili, l’art. 360 c.p.p. prevede che il procuratore “avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato e i difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici” i quali, oltre alla possibilità di presenziare al compimento delle singole operazioni, possono formulare riserve ed osservazioni, intervenendo così in modo dinamico ed incisivo nella fondamentale attività di individuazione e raccolta degli elementi probatori che potranno risultare decisivi per l’eventuale successivo processo.

Prezioso già nella fase di indagini, il consulente tecnico si rende a dir poco indispensabile nella fase dibattimentale (o nell’incidente probatorio che del dibattimento costituisce anticipazione), specie quando il giudice – ed in questi processi è la norma – nomini un proprio perito.

L’impegno del consulente tecnico o dei consulenti tecnici (l’indagato, come del resto il pubblico ministero e la persona offesa possono designarne in numero almeno pari a quello del perito o dei periti) è sostanzialmente in tre momenti (art. 230 c.p.p.):
a) al conferimento dell’incarico (potendovi assistere), quando potrà/potranno formulare al giudice richieste, osservazioni e riserve, collaborando così attivamente a quel delicato quanto complesso momento di formulazione dei quesiti per il perito od i periti;
b) durante le operazioni peritali, cui potranno prendere parte proponendo specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve;
c) nell’esame e controesame del perito, aiutando il difensore a svolgerlo (e potendo essi stessi essere esaminati e controesaminati, purché inseriti nella lista testimoniale prima dell’avvio del processo)
Anche quando non è stata disposta perizia, comunque, il difensore del medico imputato (e parimenti le altre parti) potrà nominare consulenti tecnici in numero non superiore a due, che possono esporre al giudice il proprio parere anche con memorie scritte: art. 233 c.p.p. (fermo restando che, sempre ove indicati nella lista dei testi iniziale anzidetta, possono essere escussi nel dibattimento).

Come si vede, in definitiva, il codice assegna al consulente tecnico un ruolo davvero significativo, che può diventare senz’altro decisivo in procedimenti penali nei quali – come nel caso in cui si controverte di responsabilità medica – l’apporto tecnico e scientifico assume rilievo pressoché preponderante: “assoldarne”di capaci e qualificati diventa sostanzialmente un obbligo!

 

Avv. Aldo Areddu

Dott.ssa Marika Marcantonio

Assistenza Legale
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