Vale anche il diritto al mantenimento del cognome se questo è divenuto ormai segno distintivo dell’identità personale nell’ambito familiare e sociale

Mantenimento del cognome del padre e liquidazione di un risarcimento pari a 40mila euro. E’ quanto disposto dal Tribunale di Milano a favore di una ragazza costituitasi in giudizio nell’ambito del procedimento intentato da un uomo che aveva impugnato il riconoscimento della giovane come sua figlia per difetto di veridicità.

L’uomo aveva conosciuto la moglie nel 1995. All’epoca, prima che si sposassero la donna aveva già una figlia di due anni. L’anno successivo alla celebrazione del matrimonio, avvenuta nel 1996, il marito riconosceva come sua figlia la bambina, che assumeva pertanto il suo cognome.

Ma nel 2005 i coniugi si separavano e i rapporti tra padre e figlia si incrinavano immediatamente “sino a divenire solo formali e a cessare del tutto nella primavera del 2008”, quando l’uomo era completamente sparito dalla vita della ragazza. A riferirlo è l’ex moglie, anch’essa costituitasi in giudizio. La donna, pur confermando che l’ex coniuge non fosse il padre della ragazza, precisava, tuttavia, che l’uomo aveva deciso di riconoscere la propria figlia “solo allo scopo di ottenere il congedo dal servizio militare”.

La ragazza, nel ribadire anche lei di non essere la figlia biologica dell’uomo, chiedeva quindi al giudice di accertare che quest’ultimo l’aveva riconosciuta dichiarando il falso, avanzando la richiesta di vedersi riconosciuto il diritto a mantenerne il cognome, oltre che il diritto al mantenimento e al risarcimento dei danni subiti.

In particolare la richiesta di risarcimento era motivata dal “danno morale ed esistenziale patito a fronte del falso riconoscimento e all’improvvisa scoperta della discrasia tra situazione reale e situazione legale”; a questi  bisognava aggiungere “il danno patito a causa del comportamento dell’uomo, che si era spogliato dei doveri genitoriali, privando  improvvisamente la figlia dell’affetto e della presenza paterna”.

Il Tribunale, dopo aver escluso la paternità dell’uomo accogliendone pertanto l’istanza, in quanto ritenuta fondata in seguito all’espletamento dell’esame del Dna, ha parimenti accolto le pretese della ragazza sia in merito al risarcimento che relativamente al mantenimento del cognome acquisito.

Partendo da questo secondo aspetto il giudice ha ritenuto di riconoscere il mantenimento del cognome in base all’art. 95 comma 3 D.P.R. 396/2000, “essendo indubbio che tale cognome sia divenuto ormai segno distintivo dell’identità personale della convenuta nell’ambito familiare e sociale”.

Anche per quanto riguarda la domanda risarcitoria il Tribunale ha dato ragione alla ragazza. Il ripensamento del ‘padre’ infatti aveva configurato una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, in quanto la decisione di impugnare il riconoscimento era intervenuta “senza alcuna valida ragione e a distanza di diversi anni dal falso riconoscimento”. Nello specifico, la condotta dell’uomo aveva determinato un “danno ingiusto, risarcibile secondo i consolidati principi in tema di responsabilità aquiliana, in quanto lede degli interessi meritevoli di primaria tutela e di valore preminente rispetto all’interesse alla riaffermazione del principio di verità biologica”.

Rigettata invece la domanda della ragazza di diritto al mantenimento; in tal caso infatti, dal momento che la giovane risultava ancora “integralmente mantenuta dalla madre, secondo i patti liberamente conclusi dai genitori in sede di separazione consensuale”.

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