I sanitari avevano agito con negligenza ma non è possibile provare che se avessero avuto una condotta corretta il paziente si sarebbe salvato

Prosciolti dalle accuse perché “il fatto non sussiste”. E’ quanto sentenziato dal Tribunale di Sassari a conclusione del processo con rito abbreviato che vedeva imputati cinque medici per la morte di un 69enne avvenuta nel febbraio del 2011. L’uomo, ex direttore dell’Atp di Sassari, era stato ricoverato nel mese di gennaio in ospedale perché aveva forti dolori allo stomaco e gli era stata diagnosticata una trombosi alla vena porta, che raccoglie il sangue dell’apparato digerente e lo convoglia al fegato.

Nessuno dei sanitari, tuttavia, aveva indicato la necessità di un intervento che, anzi, come affermato dal Pubblico Ministero “veniva inopinatamente escluso”. Il paziente era stato quindi trasferito dal reparto di Chirurgia a quello di Medicina interna dove, nonostante il perdurare della condizione di sofferenza, era stato sottoposto solamente a terapie antidolorifiche, anticoagulanti e antibiotiche. Le sue condizioni erano però peggiorate al punto da dover essere trasferito in Rianimazione e solo dopo che erano trascorsi ulteriori giorni era stato sottoposto a intervento di laparotomia esplorativa. A quel punto però le sue condizioni erano ormai disperate; l’intestino, infatti, era in necrosi e dopo un’ora dall’intervento l’uomo morì per uno choc settico.

Nel corso delle indagini preliminari il consulente della Procura aveva stabilito che il peggioramento del quadro clinico che portò al decesso era, in qualche modo, imputabile alla condotta attendistica dei medici, che avrebbero agito “con imperizia e negligenza, violando i protocolli operativi”. Di lì la decisione dei parenti della vittima di costituirsi parte civile. I legali difensori, al contrario, avevano sostenuto che i medici avevano seguito tutti i protocolli, somministrando al paziente la giusta terapia (eparina anticoagulante). I consulenti di parte avevano inoltre spiegato che non sarebbe stato possibile alcun intervento dal momento che il paziente aveva tre vene ostruite.

Al termine della requisitoria, era stato lo stesso Pubblico Ministero a chiedere l’assoluzione dei medici, in quanto, pur riconoscendone la colpa per condotta negligente, non vi era evidenza del nesso di causalità con la morte; se anche i sanitari avessero avuto una condotta corretta non c’è prova che l’uomo si sarebbe salvato. “Se fossimo davanti a un giudice civile, dove basta la probabilità – aveva affermato il Sostituto Procuratore – non avrei dubbi nell’individuare la responsabilità, ma davanti al giudice penale ci vuole la certezza oltre il ragionevole dubbio”. Di qui l’applicazione dell’art. 530 comma 2 del codice di procedura penale (prova insufficiente o contraddittoria) e la sentenza di assoluzione, le cui motivazioni sono attese entro 90 giorni.

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