Per la Cassazione il coniuge che resta “sine titulo” nella casa familiare deve risarcire l’assegnatario per il mancato uso dell’immobile

Con l’ordinanza n. 20856/2017 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al caso di occupazione illegittima della casa coniugale da parte del coniuge non assegnatario. L’ordinanza prevede il risarcimento dei danni provocati dall’indisponibilità del bene e dal mancato uso dell’immobile.

Occupazione illegittima della casa coniugale: l’ex moglie risarcisce il marito assegnatario dell’immobile.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una donna che aveva occupato illegittimamente la casa familiare, di proprietà del marito e a lui assegnata all’esito del giudizio di separazione.
La doglianza della donna verteva sull’affermazione per cui il danno da occupazione illegittima della casa coniugale fosse “in re ipsa“. Il ricorso è stato giudicato dagli Ermellini privo di fondamento e l’ordinanza ha confermato l’onere del risarcimento dei danni nei confronti dell’ex marito, proprietario e assegnatario del bene.
Confermando quanto descritto dalla precedente sentenza n. 20823/2015, con l’ordinanza suddetta la Cassazione ribadisce che l’esistenza del danno è oggetto di una presunzione iuris tantum, superabile con prova contraria.

Per la dimostrazione del pregiudizio l’assegnatario deve provare che avrebbe utilizzato l’immobile per finalità produttive.

Al fine della dimostrazione del pregiudizio, l’assegnatario deve provare, con l’ausilio della presunzione, il danno derivante dal mancato utilizzo. Spetta quindi al proprietario dimostrare che, se avesse ottenuto immediatamente la disponibilità del bene immobile, lo avrebbe utilizzato con finalità produttive quali la locazione o il godimento diretto.
Tale assunto conferma quanto stabilito dalla precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 25898/2016. Secondo tale atto di giudizio, nell’ipotesi di occupazione illegittima di un bene immobiliare altrui il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del bene può definirsi “in re ipsa, purché esso sia inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene.
 
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