Intrigante caso medico legale che non solo necessità di ottimi ctu, bensì di avvocati che sanno il diritto.

In verità ci sarebbe poco da aggiungere rispetto a quanto detto nelle note (soprattutto di elogio) fatte dal sottoscritto alla bozza di ctu, ma vorrei puntare il dito sul no dei convenuti alla proposta di transazione fatta dal ctu (il 696bis è in verità un tentativo di conciliazione prima di entrare nel giudizio di merito).

Dopo che i ctp dei convenuti hanno ricevuto la bozza di ctu hanno consigliato ai loro legali di non transare (almeno si apprende questo dall’avvocato della parte attrice).

Ora direi, chi è lo stolto “carnevale” o chi gli va appresso?

Riassumiamo quanto espresso dai consulenti del giudice.

  • Esiste nesso di causa tra perdita del visus in OD e intervento;
  • E’ ignota la causa della perdita del visus che comunque deriva da coinvolgimenti del segmento posteriore in tale tipo di intervento e che possono determinare anche peggioramenti di retinopatie preesistenti e deficit permanenti del visus. Ergo, esiste nesso causale.
  • Che l’indicazione all’intervento era corretta per motivi che non sono medico legali ma pareri personali (i convenuti dicono meglio al riguardo!) dell’ausiliario oculista che comunque, a parere dello scrivente, andavano corretti dal CTU medico legale.

Adesso un “normale” avvocato convenuto (almenocché il suo consulente non gli abbia evidenziato evidenti errori scientifici nella ctu) come si sarebbe dovuto comportare difronte ad una proposta di conciliazione del CTU al 50% del valore del danno conseguenza?

Secondo lo scrivente avrebbe dovuto fare di corsa anche un pagamento di tasca sua!

Voi direte: ma per quale motivo? Per il semplice motivo che i ricorrenti hanno dimostrato il contratto, il maggior danno e il nesso di causa tra l’atto chirurgico e il danno lamentato, mentre i convenuti non hanno saputo soddisfare all’onere di provare che non dipende dai sanitari l’evento avverso (ricordate come si esprime il CTU “se  da  un  lato,  non  sono  individuabili  profili  di  negligenza,  imperizia  o imprudenza nel determinismo della riduzione del visus in OD, dall’altro non si è neppure rilevato l’occorrere di un evento imprevedibile ed imprevenibile a cui la stessa possa essere causalmente ricondotta…”)  lamentato dall’attore.

Ma qualcun’altro di voi potrebbe rispondere che l’attore non ha dimostrato l’inadempimento qualificato dei sanitari per cui non c’è colpa.

Beh, diciamo che se il paziente avesse quest’onere significherebbe aver “triturato” il concetto della “vicinanza della prova” che un ventennio di giurisprudenza ha confermato.

L’inadempimento da dimostrare da parte del paziente è solo quello che “in astratto” potrebbe causare il danno lamentato, ossia la Cassazione non potrebbe riferirsi ad un inadempimento qualificato in quanto si contraddirebbe e perché è evidente che tale inadempimento astratto è riferito alla prova del nesso causale tra atto medico e danno lamentato.

Ma v’è di più.

La parte “debole” nel rapporto medico-paziente-struttura è certamente il paziente per i motivi che si sono consolidati nell’ultimo ventennio e che sono logici e di giustizia.

Quindi esiste una questione che la Suprema Corte ha risolto da tempo: “può soccombere il paziente se la causa è ignota e i convenuti non riescono a dimostrare”?

Gli ermellini hanno confermato che ciò non è possibile per cui la struttura deve risarcire il danno.

 

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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