«Nella interpretazione delle clausole contrattuali, non ci si può limitare al senso letterale delle parole ma occorre ricercare e far riferimento alla volontà delle parti ricavabile in maniera complessiva dall’atto e dal contenuto anche oggettivo del rapporto contrattuale stesso».

Con la sentenza in discorso, la Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione (VI Sezione, Sentenza 17581 del 03/09/2015), prendendo lo spunto da una controversia assicurativa in tema di appalto di lavori edili, ribadisce un principio fondante del diritto civile che troppo spesso viene, anche dai Giudici, sottovalutato. In particolare, ci si riferisce al reale contenuto delle clausole di contratto generali e particolari, che regolano i rapporti fra assicurato e assicuratore. Non vi è controversia, infatti, nella quale alla chiamata in garanzia del terzo Assicuratore, non corrisponda una difesa di questo che miri alla limitazione, a volte farsesca, della portata del contratto assicurativo stipulato. In molte controversie, infatti, l’avvocato dell’assicurato finisce con il chiedersi per quale contorto motivo il proprio assistito abbia stipulato una assicurazione che, dalle difese dell’assicurazione stessa, pare non coprire assolutamente nulla. Pur senza voler entrare nel gioco delle parti, un chiarimento da parte della Suprema Corte appariva necessario onde mettere tutti i figuranti delle varie vicende, dinnanzi a criteri certi e non aggirabili, onde, quindi, ridare ad ognuno la propria responsabilità.

Tale chiarimento, lungi dal fornire una nuova e fantasiosa interpretazione di norme di legge, è giunto con la sentenza in discorso che ha ridato dignità ad alcuni articoli di legge che parevano essere finiti nel dimenticatoio. La vicenda è la seguente: una ditta di costruzioni stipula una polizza a copertura di danni a terzi derivanti da lavori edili di rifacimento di un marciapiede. Durante l’esecuzione dei lavori, si creavano delle infiltrazioni d’acqua in una abitazione privata il cui proprietario chiamava in causa la ditta stessa che, a sua volta, chiamava in manleva la propria assicurazione che, costituendosi in giudizio, negava ogni responsabilità risarcitoria poiché le clausole contrattuali non prevedevano il c.d. «danno da bagnamento», ovvero, lo prevedevano solo in riferimento alla costruzione e manutenzione di edifici, caso diverso da quello dedotto in giudizio. Ebbene, al fine di riaffermare la doverosa responsabilità risarcitoria dell’Assicurazione, negata dal giudice di prime cure,  la Cassazione ha posto delle riflessioni che meritano la massima attenzione. Innanzitutto, ci dicono i Giudici, occorre guardare alla ragione di stipulazione del contratto stesso, non potendo essere il giudizio sulle coperture assicurative staccato dalle ragioni per le quali il contratto è stato stipulato.

In secondo luogo, le clausole dello stesso devono essere lette non già solo «letteralmente» ma, bensì alla luce della reale volontà delle parti, quale emerge dall’intero atto e dalle ragioni intrinseche alla stipulazione dello stesso in base al disposto degli art. 1362 e 1363 del Codice Civile. Proseguendo, la Cassazione riafferma, fra gli altri, il principio della “buona fede”, di cui all’art. 1366 C.c., nella interpretazione del contratto così come quello di interpretazione delle clausole generali predisposte da una sola parte, in favore dell’aderente/assicurato di cui all’art. 1370 del C. c..  La reale portata di tali articoli e principi, appare forse più chiara se la leghiamo ad una caso concreto che, per ciò che interessa nella presente rubrica, non potrà che riguardare una assicurazione da rischio professionale medico. Prendendo ad esempio una assicurazione in ambito di ostetricia e ginecologia, non si potrà sostenere che, ad esempio, i rischi connessi alla esecuzione e lettura di ecografie siano esclusi se non espressamente previsti poiché tale metodica fa parte del lavoro quotidiano di un ginecologo. Del pari, non potranno essere avanzate esclusioni di garanzia se le stesse riguardano gesti o atti medici connaturati all’attività stesso dell’assicurato il quale, con la stipulazione della polizza certamente, ed in buona fede, avrà creduto di poter operare in tutta serenità. Ci si augura, quindi, che tali principi siano da oggi tenuti nel giusto conto onde evitare che per i soggetti assicurati si verifichi oltre al danno di avere come controparte anche la propria assicurazione, anche la beffa del rendersi conto di aver versato per anni premi assicurativi assolutamente inutili.

                                                                                  Avv. Gianluca Mari

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