Erano accusati di omicidio colposo per la morte di una paziente di 79 anni deceduta nel 2009 a seguito di un’operazione

Si è conclusa in primo grado la vicenda giudiziaria di tre medici in servizio nel 2009 presso l’Ospedale San Giovanni di Roma. I camici bianchi erano finiti sul banco degli imputati dopo la morte di una pensionata di 79 anni. La donna era stata ricoverata presso il nosocomio per un’infezione all’apparato digerente e le era stata diagnosticata una sospetta diverticolite. Dopo alcuni giorni, nonostante i benefici di terapia non invasiva somministrata dai sanitari,  il primario della terza chirurgia d’urgenza aveva deciso di operarla; dimessa, era stata riportata in ospedale dopo pochi giorni dai parenti per un nuovo peggioramento della situazione ed era stata sottoposta ad altri due interventi chirurgici fino al decesso, avvenuto a causa delle complicazioni insorte a seguito  di una nuova operazione in cui le erano stati asportati 40 centimetri di intestino.

La denuncia presentata dalla famiglia aveva portato all’apertura di un fascicolo in cui inizialmente figuravano ben 77 indagati. L’inchiesta era stata inizialmente archiviata, ma nel 2012 i parenti avevano prodotto dei nuovi documenti che dimostravano come il consulente cui era stata affidata la perizia sull’accaduto lavorava nella stessa equipe di uno degli indagati. I nuovi elementi probatori avevano indotto il Giudice,  su richiesta del Pubblico ministero, a rinviare a giudizio i tre medici con l’accusa di omicidio colposo. In particolare i sanitari erano accusati di negligenza, imprudenza e imperizia, per aver omesso di  valutare correttamente la situazione clinica della paziente.

Il Giudice monocratico della VIII sezione penale, al termine del dibattimento, ha tuttavia deciso di assolvere gli imputati con formula piena perché ‘il fatto non sussiste’. L’Azienda ospedaliera ha evidenziato in una nota come la sentenza abbia dimostrato “che l’intero percorso clinico seguito dai medici all’interno dell’ospedale è stato compiuto con professionalità e nel pieno rispetto dei protocolli sanitari e della buona pratica medica”.

 

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