Sangue infetto: Stato condannato per tempi della giustizia troppo lunghi

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In relazione alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, pronunciata sui ricorsi proposti da alcuni cittadini italiani infettati da virus (HIV, epatite B e C), a seguito di trasfusioni di sangue praticate in trattamenti sanitari o operazioni chirurgiche, il Ministero precisa quanto segue:

FOCUS SANGUE INFETTO Lo Speciale di Responsabile Civile

«La Corte, pur avendo riconosciuto per tutti quei casi risalenti agli anni ’90 la violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo relativamente al diritto ad un equo processo e ad un ricorso effettivo, ha affermato che la procedura di cui all’art. 27-bis del decreto-legge n. 90/2014 – la cui introduzione è stata fortemente voluta dal Ministro Lorenzin –, che riconosce ai soggetti danneggiati, a titolo di equa riparazione, una somma  di denaro  determinata  nella  misura  di euro 100.000, costituisce un rimedio interno, del tutto compatibile con le previsioni della Convenzione e in grado di assicurare un adeguato ristoro ai soggetti danneggiati».

Sangue Infetto – La sentenza sostiene che la legislazione italiana sia sufficiente ma con ritardi enormi, oltre i sette anni che comportano la condanna dello Stato per danni morali dovuti ai tempi troppo lunghi della giustizia. La sentenza è scaturita da un ricorso presentato dall’Associazione talassemici di Lecce e rappresentata dall’avvocato Paola Perrone. “Si tratta di una causa pilota attorno al quale sono stati riuniti gli altri ricorsi in materia presentati sul territorio nazionale”.

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