Interessanti precisazioni arrivano dalla Corte di Cassazione in merito alle sanzioni antiriciclaggio per il passaggio brevi manu del denaro

Ha fornito delle precisazioni importanti la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 9881/2018 in merito alle sanzioni antiriciclaggio.

Secondo la pronuncia, anche il solo passaggio brevi manu del denaro per un importo superiore alla soglia prevista dalla legge fa scattare le sanzioni antiriciclaggio a carico dei due soggetti coinvolti.

Per i giudici, dunque, risulta irrilevante sia la liceità del negozio sottostante, sia chi abbia la disponibilità finale della somma utilizzata per realizzare l’operazione di trasferimento.

Nel caso di specie, la Corte ha respinto il ricorso di un uomo ingiunto dal Ministero dell’Economia delle Finanze a pagare una somma di quasi 340mila euro a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria.

La ragione? Aveva trasferito denaro contante senza osservare la normativa antiriciclaggio (art. 1, comma 1, d.l. n. 143 del 1991 convertito nella l. n. 197 del 1991).

Il destinatario dell’addebito è un impiegato di banca. Come emerso dagli accertamenti effettuati della Guardia di Finanza, l’uomo in più occasioni aveva trasferito denaro contante a un ex dirigente in pensione e poi consulente della banca stessa.

Ebbene, tale denaro proveniva da conti aperti presso l’Istituto di credito, intestati a soggetti compiacenti.

Tali soggetti consentivano, in cambio di una parte dei guadagni, l’apertura di conti a loro nome, ma destinati a essere di fatti gestiti da altri.

La difesa ha evidenziato, in Cassazione, come l’impiegato si limitasse a prelevare il denaro su istruzioni dei superiori, ma senza trasferirlo da un soggetto a un altro.

Egli sosteneva di aver solo portato materialmente il denaro negli uffici della direzione, ma senza farlo uscire dalla banca e senza consegnarlo a soggetti diversi, ma solo ad un collega.

Denaro – questo – che non veniva nemmeno prelevato, ma rimaneva nella piena disponibilità dei singoli correntisti, sino a quando costoro non lo dividevano con l’ex dirigente.

Il tutto all’insaputa del ricorrente che neppure era tenuto a segnalare l’anomalia delle operazioni, e per due motivi.

In primis, perché non aveva alcun modo di accorgersene. E poi perché non aveva alcun accesso al sistema delle segnalazioni.

Ma non è finita qui.

Il ricorrente sottolinea di non aver avuto alcun potere di rifiutare le prestazioni che il datore di lavoro gli assegnava. Anche perché queste non parevano illecite, secondo la diligenza in concreto esigibile.

Una tesi che i giudici di Cassazione hanno respinto totalmente.

Ciò in quanto il trasferimento di denaro risultava pienamente provato e pacificamente ammesso in sede di dichiarazioni alla Guardia di finanza sia dal ricorrente che dal soggetto “prestanome” che aveva ricevuto il denaro trasferito. Inoltre, l’entità dei prelievi superava la soglia di legge sull’antiriciclaggio, all’epoca fissata in 12.500 euro.

L’impiegato prelevava il denaro contante, previa esibizione ai cassieri di ordini di pagamento precedentemente firmati in bianco dai titolari dei conti e dallo stesso compilati.

Fatto questo, lo trasferiva all’ex dirigente brevi manu o in alternativa lo depositava in una cassetta di sicurezza nella disponibilità esclusiva di questi.

Sulla base di tali circostanze, la condotta dell’impiegato integra pienamente l’illecito contestato, quindi rientra nel quadro previsto dalle sanzioni antiriciclaggio.

Sul punto, la Cassazione si allinea all’orientamento già espresso nella sentenza n. 1645/2017.

In merito alla normativa diretta a limitare l’uso del contante nelle transazioni e a contrastare il riciclaggio, il divieto, posto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 143 del 1991, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 1991, riguarda il trasferimento di denaro “a qualsiasi titolo” tra soggetti diversi.

Questo significa che, ai fini della sussistenza dell’illecito, è sufficiente che si realizzi la semplice “traditio” del denaro tra soggetti diversi che, per ciò solo, si rendono entrambi responsabili della violazione.

Non è rilevante la finale disponibilità della somma per realizzare operazioni di trasferimento e la liceità del negozio sottostante.

Alla luce di tali evidenze, viene confermata la decisione impugnata e il ricorso viene rigettato.

Pertanto, l’impiegato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato. 

 

 

 

 

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