Gli Ermellini ritennero che il sequestro preventivo fosse, nel caso di specie, assolutamente legittimo e fondato, sussistendo invero sia il fumus commissi delicti, sia il periculum in mora.

La vicenda oggetto di questa mia breve disamina trae origine dal sequestro preventivo eseguito dalla Polizia Giudiziaria, appunto nella fase delle indagini preliminari, di un immobile adibito a studio dentistico nonché di tutta la strumentazione ivi giacente, ritenuti quale corpo del reato di esercizio abusivo della professione di dentista.

In particolare, nel corso dell’intervento della polizia, vi era un odontotecnico intento ad ultimare interventi di terapia conservativa nel cavo orale di una paziente e dunque intento a svolgere un’attività professionale che solo il medico dentista può eseguire.

Pertanto, ferme restando le censure procedurali mosse avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame (sulle quali non mi soffermerò per ragioni di economia), ad avviso di chi scrive appare opportuno in questa sede illustrare le argomentazioni addotte dall’Autorità Giudiziaria, a sostegno proprio della fondatezza del sequestro preventivo del cespite.

Invero, ritenevano gli Ermellini che il sequestro preventivo fosse, nel caso di specie, assolutamente legittimo e fondato, sussistendo invero sia il fumus commissi delicti, sia il periculum in mora, atteso che l’immobile e la strumentazione risultavano adibite a studio dentistico ed a laboratorio per l’esercizio dell’attività odontoiatrica e dunque collegati da un nesso strumentale diretto e immediato all’esercizio di tale attività.

In ragione di ciò, il cespite può essere sottoposto al vincolo reale in uno ai beni strumentali siti al suo interno, trattandosi appunto di cose pertinenti al reato, in rapporto di necessaria, specifica e strutturale correlazione con la commissione dell’attività illecita di esercizio abusivo della professione.

In altre parole, la Suprema Corte (sentenza n° 24273/2009) ravvisava nella vicenda in esame la piena fondatezza e legittimità del sequestro preventivo, sussistendo infatti sia il fumus, sia il periculum.

Infatti, all’atto di intervento della Polizia Giudiziaria, era in corso un’attività – quale appunto quella di terapia conservativa nel cavo orale di una paziente – da parte di un odontotecnico che, per converso, non risulta affatto essere un soggetto abilitato ad esercitare tale tipo di intervento tecnico.

Trattasi, invero, di attività che solo il medico dentista può svolgere e che pertanto, essendo materialmente eseguita da un soggetto non a tanto abilitato, integra appieno il delitto di esercizio abusivo di una professione, contestata peraltro in concorso anche con il dentista, in quanto gli indizi erano tutti gravi, precisi e concordi a ritenere che il dentista fosse pienamente consapevole di tutto quanto accadeva presso il suo studio, nei giorni di sua assenza.

Pertanto, gli Ermellini hanno dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione e condannato il ricorrente al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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