La Corte di Cassazione, sez. II Civile, con l’ordinanza n. 6018 depositata il 28 febbraio 2019, ha ritenuto che lo sforamento del limite di velocità di appena 7 chilometri, ridotti a 2 con l’abbattimento previsto per legge, non sia sufficiente per escludere la colpa della persona alla guida

I fatti di causa

Il Tribunale di Chieti, con sentenza depositata il 28 febbraio 2019, ha rigettato l’appello proposto da un Comune avverso la sentenza di un Giudice di pace.
Il Tribunale ha confermato l’annullamento del verbale di contestazione elevato dalla Polizia Municipale di Casacanditella ad una donna  per violazione dell’art. 142, comma 7, cod. strada, accertata a mezzo autovelox su strada provinciale, nel tratto in territorio del Comune ricorrente.
Osservando che sul tratto di strada in oggetto esisteva segnalazione adeguata della postazione di controllo della velocità, il Tribunale ha ritenuto insussistente l’elemento soggettivo, tenuto conto della ridottissima velocità eccedente (2 km/h) e dell’abbattimento in percentuale previsto dalla legge.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Comune, sulla base di due motivi.

Le ragioni della decisione

Gli Ermellini a osservano che a fronte dell’accertato superamento del limite di velocità e previo rilievo che la postazione di rilevamento era adeguatamente segnalata, il giudice di appello ha ritenuto insussistente l’elemento psicologico in considerazione della entità minima dello sforamento, di appena 2 km/h, e dell’abbattimento in percentuale previsto dalla legge.
Da tanto consegue la verosimiglianza che il conducente fosse transitato dinanzi alla postazione di controllo convinto di non superare il limite segnalato.
Secondo il Tribunale, poi, il tachimetro della vettura e avrebbe potuto indicare una velocità errata, anche se di poco, rispetto a quella reale.
Ebbene, secondo la Suprema Corte, anche se si può convenire sul rilievo che nel caso de quo l’entità dello sforamento del limite di velocità sia stata minima (limite di 50 km/h, velocità registrata 57 km/h, abbattimento di 5 km/h in applicazione dell’art. 345 D.P.R. n. 495 del 1992), nondimeno tale elemento non integra la buona fede del conducente, necessaria per superare la presunzione di colpa.
E’ giurisprudenza costante della Cassazione, infatti, che la responsabilità dell’autore dell’infrazione non è esclusa dal mero stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (cfr. ex plurimis, Cass. 15/01/2018, n. 720; Cass. 11/06/2007, n. 13610).

Ma quando si configura l’esimente della buona fede?

Sono necessari non solo elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta, ma anche che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, per cui nessun rimprovero possa essergli mosso.
Se si legge in questa prospettiva, tra l’altro l’unica conforme al sistema dell’illecito amministrativo, la sentenza impugnata si rivela carente dell’indicazioni di elementi concreti dai quali desumere ragionevolmente la buona fede del trasgressore, e ciò comporta, secondo gli Ermellini, la violazione dell’art. 3 L. 689 del 1981.
La Corte ha, quindi, accolto il ricorso e  cassato con rinvio la sentenza impugnata, rimettendo, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Chieti, in persona di diverso magistrato, che dovrà uniformarsi al principio di diritto su richiamato.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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