In caso di soppressione di una posizione lavorativa, la privazione totale delle mansioni di un lavoratore, non può essere una valida alternativa al licenziamento

La vicenda

Nel 2017 la Corte d’Appello di Roma aveva confermato la sentenza di primo grado con la quale una società di trasporti era stata condannata a risarcire un proprio dipendente per il danno, patrimoniale e non patrimoniale, derivatogli dalla privazione delle mansioni, avvenuta dal luglio 2005 fino al licenziamento.
A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale aveva ritenuto non fondata la deduzione della società datrice di lavoro secondo cui “il mantenimento del rapporto di lavoro era avvenuto esclusivamente nell’interesse del lavoratore, in quanto a seguito della soppressione della posizione lavorativa da questi rivestita nella organizzazione aziendale (giornalista addetto all’ufficio stampa) il rapporto si era svolto al solo fine di cercare una soluzione concordata, che potesse preservarne l’occupazione”.
In altre parole, a detta della società ricorrente il contestato demansionamento non costituiva un fatto illecito posto che esso era stato adottato al solo fine di consentire al lavoratore di conservare il suo posto di lavoro.
Ma per il giudice dell’appello la società avrebbe potuto legittimamente porre fine al rapporto di lavoro a fronte di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento piuttosto che mantenere in vita un rapporto nel quale la professionalità del lavoratore fosse pregiudicata dalla totale assenza di mansioni.
La disciplina delle mansioni all’epoca vigente avrebbe consentito, infatti, l’attribuzione al lavoratore, con il suo consenso, di mansioni inferiori – quando tale scelta fosse stata l’unica in grado di preservare l’occupazione – ma non il mantenimento di un rapporto svuotato totalmente di contenuto professionale.
Ebbene, la decisione è stata confermata anche dai giudici della Suprema Corte di Cassazione.

Il patto di demansionamento e l’obbligo di repechage

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la soppressione della posizione lavorativa occupata dal dipendente obbliga il datore di lavoro alla assegnazione di altre mansioni professionalmente equivalenti – ove disponibili nella organizzazione aziendale – nonché- previo consenso di quest’ultimo – anche di mansioni di contenuto professionale inferiore (cd. patto di demansionamento).
La eventuale impossibilità di assolvere al suddetto obbligo di repechage costituisce elemento integrativo della fattispecie del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
La privazione totale delle mansioni, che costituisce violazione di diritti inerenti alla persona del lavoratore oggetto di tutela costituzionale, non può essere invece, una alternativa al licenziamento.
Per tutti questi motivi, la sentenza impugnata è stata confermata e respinto il ricorso del datore di lavoro.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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