È stato condannato in via definitiva per i reati di sostituzione di persona e stalking con sentenza della Corte di Cassazione (n. 5683/2019), l’uomo che nascondendosi dietro falso profilo Facebook adescava minorenni per poi ricattarle

A confermare la sentenza di primo grado che condannava l’imputato per i delitti di sostituzione di persona e atti persecutori, anche la corte d’appello di Messina.

In giudizio si era accertato che quest’ultimo, con le false generalità di una figura femminile, contattava su Facebook due adolescenti, per poi molestarle, minacciandole di mettere in rete video che le riprendevano in atteggiamenti erotici, costringendole a masturbarsi in webcam e registrando i video sul proprio PC.

Il ricorso per Cassazione

A domandare la cassazione della sentenza impugnata fu lo stesso imputato che, tramite il proprio difensore di fiducia, denunciava la sua assoluta estraneità ai fatti.

Non era lui che si celava dietro quell’identità inventata, non era lui ad aver posto in essere quelle condotte oggetto di imputazione e di successiva condanna.

A supporto delle proprie ragioni deduceva la circostanza, tutt’altro che irrilevante, che le vittime non avevano mai visto né conosciuto l’autore delle molestie e dunque mancavo prove sufficienti a fondare la decisione emessa nei suoi confronti.

Ma per i giudici della Cassazione il ricorso è manifestamente infondato, in quanto, pacifica era la materialità delle condotte a lui riconducibili.

La sentenza impugnata aveva ampiamente argomentato sul punto. Non vi erano dubbi sulla corretta identificazione dell’autore del reato.  L’utenza telefonica da cui venivano inviati i messaggi e le richieste a sfondo erotico era intestata al padre dell’imputato e da questi utilizzata e, poi era stato egli stesso a darne conferma in sede di dichiarazioni spontanee.

Le dichiarazioni auto indizianti nel giudizio abbreviato

A tal proposito, i giudici Ermellini rammentano che nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese “contra se” dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perché l’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018; Sez. 5, n. 18048 del 01/02/2018,; Sez. U, n. 1150 del 25/09/2008).

Al contrario, nell’assunto difensivo era stata dedotta l’inammissibilità di tali dichiarazioni posto che esse sarebbero state acquisite senza la presenza del difensore.

Ma anche tale argomento non coglie nel segno.

E infatti, per le dichiarazioni spontanee disciplinate dal comma 7 dell’art. 350 c.p.p., non è prevista la presenza del difensore (Sez. 2, n. 2539 del 05/05/2000: “Il dovere imposto all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., di non procedere all’esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall’inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, cod. proc. pen., possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi“).

Per tutti questi motivi il ricorso dell’imputato è stato respinto e confermata in via definitiva la sua condanna.

La redazione giuridica

 

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