La maggior parte degli esseri umani sono impegnati per molte ore della loro vita in attività lavorative; ben si possono immaginare le conseguenze dannose che un malessere generato in questo luogo potrebbe causare al loro stato di salute.
Lo stress da lavoro, rappresenta, infatti, l’espressione finale del malessere o del disagio che i lavoratori possono sperimentare sul luogo di lavoro, seppure esso si manifesti sotto forme diverse.
Di recente, è stato introdotto, il c.d. straining (Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 19/02/2016, n. 3291).
Il termine straining deriva dall’inglese “to strain” e letteralmente significa “tendere”, “mettere sotto pressione”, “stringere”. Il suo significato, è molto vicino, anche ad un altro verbo inglese:  “to stress”.
Infatti, il concetto di Straining è molto spesso “confuso” con quello di stress occupazionale, poiché in una situazione di Straining l’aggressore tenderà sempre a far cadere la propria vittima in una condizione di particolare stress, con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della propria condizione di lavoro.
Si tratta di un tipo di stress, tuttavia, superiore rispetto a quello normalmente connaturato alla natura del lavoro e alle normali interazioni organizzative (FERRARI, PENATI).
Già nel 2005, il Tribunale di Bergamo (Trib. Bergamo, 20 giugno 2005) ne aveva dato una precisa qualificazione, definendolo come quella «situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona che attua lo straining, in persistente inferiorità. Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone ma sempre in maniera discriminante».
Ma che cosa ha di così diverso rispetto mobbing?
La differenza sostanziale tra le due figure va individuata nella mancanza – per quanto riguarda lo straining –  «di una frequenza idonea (almeno alcune volte al mese) di azioni ostili ostative: in tali situazioni le azioni ostili che la vittima ha effettivamente subito sono poche e troppo distanziate tempo, spesso addirittura limitate ad una singola azione, come un demansionamento o un trasferimento disagevole».
 

Avv. Sabrina Caporale

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