Le norme vanno interpretate secondo regole procedurali ben precise che sono definite Studio della Gerarchia delle Fonti di Diritto

Continua l’approfondimento graduale sul tema delle malattie professionali. Questa volta è la volta delle tecnopatie tabellate, argomento che, per la loro vastità e complessità,  è stato diviso in tre parti (Capitolo terzo prima parte – Capitolo terzo seconda parte e Capitolo quarto). In questo numero di Responsabile Civile si è deciso di pubblicare entrambe le parti del Terzo Capitolo per non creare interruzione al filo logico del discorso. Si è ritenuto di frapporre tra argomenti di valenza molto tecnica e di notevole complessità, e quindi di non sempre scorrevole lettura, questioni di più agevole comprensione,  ma sempre correlati al tema trattato. Problema molto sentito in seno alla Società Italiana di Medicina del Lavoro e di Igiene Industriale è quello di mantenere un elevato livello di eticità e di rispetto dell’autonomia del Medico del Lavoro e del Medico Competente. Pertanto appare ulteriormente sviluppato il discorso della tutela dell’ambiente di lavoro anche secondo quanto emerge dalle Encicliche del Capo della Chiesa Cattolica sull’argomento e da quanto emerge anche dal pensiero laico. Prima di entrare nello specifico campo della descrizione delle attuali Tabelle delle Malattie Professionali dell’Industria ed Agricoltura, emanate con il D.M. del 9.4.2008, del D.M. 11.12.2009 e dell’attuale D.M. del 4.6.2014 sulla emanazione dell’Elenco delle Malattie di  probabile, limitata, possibile origine professionale  per cui è obbligatoria la denuncia da parte del Medico alla Direzione Provinciale del Lavoro, si è ritenuto di offrire ai lettori un resoconto alquanto esaustivo, seppure sintetico, della evoluzione storica della tutela delle malattie professionali in Italia. La trattazione delle Tabelle delle Malattie Professionali e dell’Elenco delle Malattie per cui è obbligatoria la denuncia alla Direzione Provinciale del Lavoro sono state arricchite: le prime da  integrazioni di riferimento desunte dalla letteratura scientifica, il secondo (l’Elenco) dalla interpretazione che danno le normative e le Sentenze Giurisprudenziale sulla sua non applicabilità sic et simpliciter in ambito di assicurazione previdenziale, avendo tale  Elenco solo valore ai fini della Prevenzione. Nel descrivere la criteriologia che si evince dalle relazioni della Commissione Scientifica –  ex articolo 10 del D.lvo n. 38/2000 –  del D.M. 9.4.2008 ed 11.12.2009, e quindi da quanto dedotto dall’Elenco di cui al D.M. 10.6.2014 (l’ultimo), si è anticipata la estrema complessità dell’inquadramento di un agente cancerogeno in una classe di rischio più o meno elevata. E si è ritenuto opportuno sottolineare  – e lo si farà in modo più compiuto nei Capitoli dedicati ai  Tumori Professionali – che l’accertamento dell’an della natura professionale di un tumore è cosa molto più complessa della verifica se un tale o tale altro agente dell’ambiente di lavoro siano inseriti in una o altra classe di rischio. Argomento alquanto delicato, ma anch’esso oggetto di ampio dibattito in seno alla Società Italiana di Medicina del Lavoro ed  Igiene Industriale, è quello del desiderio di detta Società di mantenere un sempre elevato livello della indipendenza e della autonomia del Medico del Lavoro, dell’Epidemiologo delle Malattie da Lavoro, che si occupano anche di svolgere attività scientifica e di consulenza per Enti e Istituzioni che valutano i rischi di agenti tossici o sospetti tali dell’ambiente di lavoro, dichiarando la loro indipendenza oppure la mancanza di conflitto di interessi nei confronti di aziende commerciali di attività chimiche o di natura tale da rappresentare seri pericoli di natura tossicologica da valutare per l’ambito lavorativo. Aggiungo anche indipendenza da Partiti Politici e da altre forze comunque a carattere politico che possono indurre il valutatore a decisioni non dettate dall’esclusivo riferimento scientifico. Citando casi clamorosi di presenza di conflitto di interessi, di diffusa conoscenza e di carattere pubblico perché presenti anche sul web, non si è entrati nel merito delle scelte e decisioni di carattere scientifico delle persone coinvolte, non ritenendo nel modo più assoluto né giusto né corretto farlo, non avendo inoltre a disposizione l’iter seguito per aver preso tale o tale altra decisione da parte dell’interessato.  Ma si è ribadito che sul piano di principio, ed apportando interventi di studiosi autorevoli sull’argomento, il conflitto di interessi  può  rappresentare un grave danno alla immagine della Medicina del Lavoro, quando non, in virtù di eventuali ed ipotetiche decisioni non riferite esclusivamente al metodo scientifico, un grande danno ai lavoratori e quindi alla Società che ha il dovere di tutelare la loro salute. In una materia così complessa ed anche alquanto scivolosa, qual è l’ambito di studio delle malattie professionali, è naturale che, con il progresso della biologia, della biochimica e della Medicina del Lavoro, il settore assicurativo che si occupa della tutela anche delle malattie professionali debba correre appresso non solo al progredire scientifico sul tema specifico qui trattato ma anche alle norme (leggi, decreti, normativa europea, circolari, etc. ) che regolamentano questa materia.   A chi dare ragione? Purchè la disposizione scritta non viola una norma penale parrebbe che il Medico valutatore debba rispettare le Circolari dell’Istituto Previdenziale anche se, per una pura ipotesi, queste in alcune parti fossero assurde. Anche se, nello specifico, il rispetto dell’ordine scritto di un superiore  – previsto in tutti i Regolamenti del Personale – riguarda l’ordine di volta in volta dato dal superiore e non come si interpreta una norma (proprietà specifica di una circolare).  Oltretutto il Medico è soggetto, ed in ordine prioritario,  al Codice Etico Deontologico Professionale.  Nello specifico si ritiene da parte mia che l’Istituto Previdenziale, nel recepire pienamente le Sentenze della Corte Costituzionale n. 179/1988 e n. 206/1988  – e tenuto conto della peculiare professione  dei suoi Medici ( che rispondono al proprio Ordine Professionale per il rispetto del codice Etico Deontologico ) -,  ha dato ampia facoltà ai propri Medici di adattare i progressi scientifici all’applicazione concreta della ormai quasi secolare metodologia medico legale che gli antichi maestri  definivano schola INAIL, termine riconosciuto anche in ambito universitario, e quindi rispettando la normativa in una virtuosa simbiosi  tra scienza e diritto. Ma potrebbe capitare che una normativa sia non abrogata in modo esplicito ma conviva con altra disposizione successiva e che la normativa successiva non sia specifica nel fornire elementi per non tenere conto di una precedente disposizione. Il dibattito tra Medici Legali posti su differenti fronti poi può capitare in sede di Consulenza Tecnica di Ufficio in cui l’assicurato, tramite il suo Consulente di Parte, fa pervenire al CTU le richieste più varie che possono riguardare non solo l’aspetto tipicamente medico ma l’aspetto legale. Un esempio può essere dato dalla richiesta di assicurato che sostiene che le malattie elencate nella lista 1 del D.M. 10.6.2014 vadano trattate alla stregua delle malattie tabellate. E di questo problema si discute nuovamente nel corso del presente Capitolo. Quando occorre interpretare le norme non lo si può fare certamente a proprio piacimento ed arbitrio ma seguendo regole procedurali ben precise  che sono definite Studio della  Gerarchia delle Fonti di Diritto. Pertanto si è ritenuto utile inserire uno specifico paragrafo riguardante questo problema che si presenta, in modo direi abbastanza frequente, al Medico Legale ed al Medico del Lavoro che si occupano della Medicina Legale delle  Malattie Professionali. Leggi il terzo capitolo: Il nesso di causalità delle malattie professionali tabellate – PRIMA FASE Il nesso di causalità delle malattie professionali tabellate – SECONDA FASE

Dr. Carmelo Marmo

(Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni)

Leggi anche: PRIMO CAPITOLO SECONDO CAPITOLO
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