Presentato il IX Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata. A causa dei tempi di attesa, cittadini costretti a pagare di tasca propria prestazioni sanitarie essenziali

Centoventotto giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni  per effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia. Sono i tempi di attesa medi nella sanità pubblica secondo un’indagine Rbm-Censis realizzata su un campione nazionale di 10.000 cittadini maggiorenni statisticamente rappresentativo della popolazione.  

Nell’ultimo anno, 19,6 milioni di italiani, per almeno una prestazione sanitaria, hanno provato a prenotare nel Servizio sanitario nazionale ma, a causa delle lunghe tempistiche, hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. Nel privato transita il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al Centro e il 42,4% al Sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al Centro e il 29,2% al Sud).

“I Lea, a cui si ha diritto sulla carta, in realtà – sottolinea il Censis – sono in gran parte negati a causa delle difficoltà di accesso alla sanità pubblica”

Il 62% di chi ha effettuato almeno una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha effettuata almeno un’altra nella sanità a pagamento: il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% di chi ha redditi alti. Per ottenere le cure necessarie (accertamenti diagnostici, visite specialistiche, analisi di laboratorio, riabilitazione, ecc.), tutti ‒ chi più, chi meno ‒ “devono surfare tra pubblico e privato, e quindi pagare di tasca propria per la sanità”. E sono 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta.

Molti cittadini, di fronte a una esigenza di salute stringente, si sono rassegnati, convinti che comunque nel pubblico i tempi d’attesa sono troppo lunghi. Nell’ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel sistema pubblico. È capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50,7% di chi ha redditi alti

Nel 2018 la spesa sanitaria privata è lievitata a 37,3 miliardi di euro: +7,2% in termini reali rispetto al 2014. Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica ha registrato invece un -0,3%..

“La spesa sanitaria privata media per famiglia – evidenzia Marco Vecchietti, Amministratore Delegato di Rbm Assicurazione Salute – ha raggiunto quota 1.437 euro. Nella maggior parte dei percorsi di cura gli italiani si trovano a dover accedere privatamente a una o più prestazioni sanitarie. E la necessità di pagare di tasca propria cresce in base al proprio stato di salute (per i cronici la spesa sanitaria privata è in media del 50% più elevata di quella ordinaria, per i non autosufficienti è in media quasi 3 volte quella ordinaria) e all’età (per gli anziani la spesa sanitaria privata è in media il doppio di quella ordinaria)”.

“Non è più sufficiente- aggiunge Vecchietti –  limitarsi a garantire finanziamenti adeguati alla sanità pubblica, ma è necessario affidare in gestione le cure acquistate dai cittadini al di fuori del Ssn attraverso un secondo pilastro sanitario aperto. Bisogna raddoppiare il diritto alla salute degli italiani, garantendo a tutti la possibilità di aderire alla sanità integrativa, perché un sistema sanitario universalistico è incompatibile con una necessità strutturale di integrazione individuale pagata direttamente dai malati, dagli anziani e dai redditi più bassi”.

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