Una ordinanza della Cassazione applica nuovamente il principio stabilito con una precedente sentenza in merito a tenore di vita e assegno divorzile

Si torna a parlare di tenore di vita e assegno divorzile, un tema caldo soprattutto dopo la sentenza n. 11504 del 2017. In essa era contenuto il principio secondo cui va abbandonato il tenore di vita per il riconoscimento dell’assegno di divorzio.
Ebbene, la Corte di Cassazione continua ad applicare il principio stabilito dalla suddetta sentenza su tenore di vita e assegno divorzile, sottolineando come il primo non possa più valere come parametro per il suo riconoscimento.
Nella recente ordinanza n. 23602/2017, la sesta sezione civile ha infatti accolto il ricorso di un uomo. Questi era stato obbligato dalla Corte d’Appello a versare alla ex coniuge un assegno divorzile di 200 euro mensili.
La Corte territoriale aveva giustificato il riconoscimento dell’assegno nei confronti dell’ex moglie.
La motivazione era che, benché la donna svolgesse un’attività lavorativa dipendente e le fosse stata assegnata la casa coniugale, non aveva redditi adeguati a conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Ciò tenuto conto del divario tra le retribuzioni delle parti e la necessità di riequilibrare le situazioni economiche degli ex coniugi.
L’ex marito ha ritenuto di fare ricorso in Cassazione, non condividendo la decisione dei giudici che metteva in relazione tenore di vita e assegno divorzile.

Il ricorrente ha evidenziato che la funzione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è assistenziale e la sua ex era in possesso di mezzi e redditi che le avrebbero consentito di vivere un’esistenza autonoma essendo stata anche assunta a tempo indeterminato.

Un motivo che è stata ritenuto fondato dai giudici. Questi hanno ricordato che l’orientamento applicato dalla Corte di merito circa la verifica delle condizioni legali per attribuire l’assegno divorzile, è stato recentemente superato dalla giurisprudenza di legittimità.
Secondo tale interpretazione, richiesto l’assegno divorzile, il giudice deve svolgere un giudizio distinto in due fasi.
Nella prima, deve verificare se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge. Si tratta quindi della mancanza di mezzi adeguati o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Ciò non avviene, tuttavia, in riguardo al “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex.

Questo dato è ricavabile da alcuni indici. Il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di risorse patrimoniali mobiliari e immobiliari, prima di tutto. Poi la capacità effettiva di lavoro personale. Infine, la stabile disponibilità di una abitazione.
L’onere della prova della non autosufficienza economica incombe sul richiedente stesso, in base alle pertinenti deduzioni da lui offerte. Resta però il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro ex coniuge.
Le condizioni reddituali dell’altro coniuge possono avere rilievo solo riguardo la seconda ed eventuale fase della quantificazione dell’assegno. A questa si accede se la prima è positivamente conclusa.
In questa fase, emergono tutti gli elementi indicati dalla norma che il giudice valuterà anche in rapporto alla durata del matrimonio. Questo allo scopo di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile.
Pertanto, per il riconoscimento dello stesso non basta che il giudice fondi l’accoglimento della domanda sulla base del divario tra le retribuzioni e sull’inadeguatezza dello stipendio percepito dalla donna se raffrontato alla situazione economica in costanza di matrimonio.
Alla luce di queste considerazioni, il ricorso dell’ex marito va accolto, con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.
 
 
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