Secondo uno studio, l’efficacia della terapia Infliximab per il morbo di Crohn sui bambini che ne sono affetti potrebbe aprire nuove prospettive

La terapia Infliximab per il morbo di Crohn produrrebbe effetti positivi sui pazienti più giovani e i bambini sul lungo periodo, anche se ci sarebbe bisogno di un trial clinico ad hoc. Ad affermarlo è stato uno studio canadese guidato da Jennifer deBruyn, dell’Università di Calgary, pubblicato sul “Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition”.
La terapia Infliximab per il morbo di Crohn sarebbe dunque particolarmente efficace sui pazienti pediatrici, come evidenziato dallo studio che deBruyn e colleghi hanno condotto analizzando dati raccolti tra il 2008 e il 2012 su 180 bambini affetti dalla patologia.
Questi pazienti avevano cominciato una terapia infliximab per il morbo di Crohn all’età media di 14 anni. Il tempo medio intercorso dalla diagnosi era di un anno e mezzo e il follow-up è stato di sette anni. Le indicazioni più frequenti per l’uso erano la malattia attiva, nel 47% dei casi, l’esacerbazione grave, nel 14%, la malattia diffusa, nel 15%, e la forma perineale, nel 14%. Il 66% dei bambini, inoltre, ha continuato o cominciato una terapia con un immunomodulatore, azatioprina o metotressato, insieme a infliximab.
Ebbene, dai risultati dello studio canadese è emerso che l’87% dei bambini aveva seguitato la terapia a base di infliximab fino all’ultimo follow-up.
Nel 57% dei casi è stata richiesta però una ottimizzazione della terapia Infliximab, in particolare un aumento del dosaggio nel 15,2% dei casi, la riduzione del tempo tra una somministrazione e l’altra nel 3,9%, ed entrambe questi cambiamenti nel 38,2%. L’ottimizzazione è stata associata all’età, in particolare quando si parlava di pazienti con meno di 10 anni alla diagnosi, e all’andamento della malattia. Inoltre, più del 95% dei bambini ha proseguito la terapia per almeno un anno e più del 90% ha continuato per almeno due anni. Mentre la sospensione della terapia per chi non rispondeva più si è verificata in circa il 3% dei bambini l’anno.
Le conclusioni dello studio hanno confermato l’efficacia di tale trattamento terapeutico.
“Tra il 20 e il 30 per cento di coloro che sviluppano una malattia cronica dell’intestino – secondo deBruyn – hanno una diagnosi in età pediatrica”.
Ma, come sottolineato dal primo autore dello studio Hien Huynh, dell’Università dell’Alberta a Edmonton, “è necessario un trial ben progettato per verificare cosa succede nei bambini con una forma della malattia da grave a moderata, dal momento che il rischio di recidiva è alto quando si interrompe la terapia”.
Il problema principale derivante dall’impiego della terapia Infliximab per il morbo di Crohn è la durata dei suoi effetti, come confermato anche da Keith Benkov, della Icahn School of Medicine al Mount Sinai.
Un ultimo dato da considerare, infine, è che quasi due terzi dei pazienti presi in considerazione nello studio canadese sarebbero stati trattati anche con immunomodulatori, farmaci che “aumentano la sostenibilità di infliximab, ma che potrebbero anche aumentarne gli effetti collaterali”.
 
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