Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con la sentenza in commento (n. 6278/2019), hanno ricomposto il contrasto giurisprudenziale esistente in materia di decorrenza del termine breve per impugnare. Stessa decorrenza o tempi diversi per la parte notificante e per il destinatario della notifica?

La vicenda

Il ricorrente aveva denunciato con ricorso per Cassazione la nullità della sentenza impugnata, per avere la corte territoriale ritenuto che il termine breve per l’impugnazione decorresse per la parte notificante dal momento del perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario, piuttosto che dal momento della consegna della copia della sentenza, all’ufficiale giudiziario notificatore.
Tale conclusione -sarebbe in evidente contrasto sia col principio per cui il termine suddetto decorre dal momento in cui si ha conoscenza legale del provvedimento da impugnare, sial col principio fissato dall’art. 149 c.p.c., secondo cui la notifica si perfeziona per il notificante con la consegna del plico all’ufficiale giudiziario.
I giudici della Cassazione cui è stata rimessa la soluzione al quesito giuridico non hanno potuto sottrarsi dal rilevare l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia.

Due sarebbero gli orientamenti contrapposti.

Secondo una prima interpretazione, di cui è espressione la sentenza n. 883/2014, il dies a quo del termine breve andrebbe individuato nel momento in cui il notificante consegna all’ufficiale giudiziario la sentenza o l’atto di impugnazione da notificare, essendo detta consegna un fatto idoneo a provare in modo certo, e con data certa, la conoscenza della sentenza da parte dell’impugnante, in applicazione analogica del principio di cui all’art. 2704, primo comma, ultimo periodo, c.c.
Un secondo orientamento, nel quale si iscrive la sentenza n. 9258 del 201,  afferma invece, che la bilateralità degli effetti della notifica della sentenza per il notificante e per il destinatario implica contestualità degli effetti e, quindi, decorrenza del termine breve dalla medesima data.
Per i giudici della Cassazione, i due orientamenti sono insuscettibili di essere ricondotti ad unità e, in linea di principio, entrambi sostenibili.
Ed invero, il riferimento alla “notificazione” contenuto nell’art. 326 c.p.c. ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, potrebbe essere correlato tanto al principio della “presunzione di conoscenza” della sentenza, che incombe su tutte le parti coinvolte nel procedimento di notifica, quanto al principio, di creazione dottrinale, dell’effetto bilaterale della notifica che presuppone, invece, il completamento del procedimento di notificazione.
Così il caso è stato rimesso alle Sezioni Unite, al fine di verificare quale dei due principi (quello della “presunzione di conoscenza” della sentenza da impugnare o quello della “bilateralità sincronica” degli effetti della notificazione della sentenza) garantisca meglio coerenza e razionalità del sistema normativo.

Il quesito giuridico

Il quesito giuridico sottoposto al Supremo Collegio è il seguente: se in tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c. decorra, per il notificante, dalla data di consegna della sentenza all’ufficiale giudiziario ovvero dalla data di perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario.
Ebbene, le Sezioni Unite dopo aver compiuto una attenta disamina dell’attuale configurazione codicistica del termine c.d. “breve” per impugnare, hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c., decorre anche per il notificante dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti ”.
La ragione è semplice, ma non scontata. La decorrenza del termine breve non è correlata alla conoscenza legale della sentenza, già esistente per il mero fatto della sua pubblicazione, né alla conoscenza effettiva della stessa, quale può essere derivata dalla comunicazione della sentenza dalla parte o dalla notificazione della sentenza ai fini esecutivi nei modi stabiliti dall’art. 479 c.p.c.; essa, deve essere piuttosto ricondotta (ed è la stessa legge a farlo !) al sollecito, indirizzato da una parte all’altra, al fine di ottenere una decisione rapida cioè entro il termine breve previsto dalla legge, in ordine all’eventuale esercizio del potere di impugnazione.
Tale sollecito non può che essere veicolato per il solo tramite del paradigma procedimentale tipico previsto dalla legge: la notificazione della sentenza al “procuratore costituito” ai sensi degli artt. 285, 326, 170 c.p.c. (Cass. Sez. Un. n. 12989/2011).

Una diversificazione del termine per impugnare non sarebbe sostenibile per le ragioni che seguono.

Innanzitutto è lo stesso tenore letterale della norma (art. 326, primo comma c.p.c.) che collega la decorrenza del termine breve di impugnazione alla «notificazione della sentenza» ossia all’evento della notificazione considerato oggettivamente, senza distinguere tra la posizione del notificante e quella del destinatario della notifica.
L’assunto, trova poi, ulteriore conferma nella sentenza n. 477/2002 pronunciata dai giudici della Corte costituzionale.
In tale occasione, il Giudice delle leggi ha palesemente ritenuto irragionevole, oltre che lesiva del diritto di difesa, l’esposizione del notificante incolpevole, al rischio di decadenze per gli eventuali ritardi dell’ufficiale giudiziario o per i possibili disservizi postali. Perciò ha escluso che un effetto di decadenza possa discendere per il notificante dal ritardo nel compimento di un ‘attività riferibile a soggetti da lui diversi e quindi del tutto estranea alla sua sfera di disponibilità.
Nella stessa sentenza è stato altresì affermato il principio secondo cui gli effetti della notificazione a mezzo posta (ma oggi estendibile a qualsiasi tipo di notificazione, art. 149 c.p.c.) devono essere ricollegati per quanto riguarda il notificante, al compimento delle sole attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario; restando fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con conseguente decorrenza solo da quella data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo.
In terzo luogo l’argomento delle Sezioni Unite trova ragione nella stessa funzione della notificazione del provvedimento da impugnare.
La notificazione della sentenza serve, infatti, al notificante non per evitare decadenze processuali, ma per abbreviare il tempo della formazione del giudicato. Detto in altri termini, il perfezionamento della notifica rileva non già per verificare il rispetto di un termine perentorio pendente, ma per far decorrere un termine dapprima inesistente.
E allora se si facesse operare il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, la parte notificante non solo non ne trarrebbe un effetto favorevole (nel senso che non eviterebbe alcuna decadenza), ma – addirittura – ne subirebbe un pregiudizio, perché per essa il termine breve decorrerebbe e, di riflesso, maturerebbe prima rispetto a quanto in proposito previsto per il destinatario della notifica.

La tutela del sistema delle impugnazioni

Pare evidente allora, l’impostazione di principio delle Sezioni Unite che è ispirata innanzitutto all’esigenza di salvaguardare la razionalità del sistema delle impugnazioni.
È evidente che una diversificazione della decorrenza del termine breve per impugnare, tra notificante e destinatario della notificazione della sentenza, condurrebbe ad un assetto irrazionale dell’intero sistema.
L’unicità del decorso del termine di impugnazione tutela invece, l’equilibrio e la parità processuale fra le parti, e garantisce, inoltre, la certezza dei rapporti giuridici, in quanto il giudicato si forma contemporaneamente nei confronti di tutte le parti.
Al contrario, la diversità del decorso del termine di impugnazione determinerebbe una sorta di disparità di trattamento nei confronti del notificante. Infatti, il notificante – ove parzialmente soccombente – vedrebbe decorrere il proprio termine breve per impugnare prima della decorrenza del medesimo termine per il destinatario della notifica e prima ancora di avere la possibilità di verificare se tale notifica si sia perfezionata.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

Leggi anche:

DIRITTO ALLA PROVA NEL PROCESSO D’APPELLO: UN ERRORE GIUDIZIARIO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui