Commento alla sentenza n. 147 del Tribunale di Catania, sez. III, 13 gennaio 2015

Vi sono alcune tipologie di giudizi dove, i diritti e le pretese fatte valere dall’attore, vedono coinvolto non solo il convenuto principale, ma anche soggetti terzi quali ad esempio garanti, assicurazione ed altri.

Nell’ambito della responsabilità medica, stante il fatto che le strutture e i professionisti sono sovente titolari di polizze RC professionale, la chiamata in causa di terzo è una costante. Ebbene, le spese per la costituzione del terzo, una volta conclusa la lite, su chi devono gravare?

La domanda, a prima vista scontata nella risposta, non è in realtà peregrina. Infatti, non sempre è automatica l’applicazione del principio della soccombenza, così come non è possibile ritenere che tutte le responsabilità inerenti  le chiamate di terzo possano gravare sull’attore soccombete.

Con la sentenza in commento, avente ad oggetto una causa fra un paziente ed una struttura con l’assicurazione terza chiamata, il Tribunale di Catania, riprendendo alcuni orientamenti giurisprudenziali di legittimità e merito, svolge una analisi della problematica in discorso delineandone i contorni conosciuti e fornendo una ulteriore soluzione del tutto innovativa.

Andando con ordine, possiamo affermare, in ossequio al disposto dell’art. 91 c.p.c.,  che l’onere di pagamento delle spese del terzo chiamato grava sul soccombente sia esso attore o convenuto. Ciò, è vero indipendentemente dal fatto che l’attore non abbia avanzato alcuna domanda diretta nei confronti del terzo chiamato, sulla base del fatto che è la domanda attorea ad aver provocato la chiamata in causa.

Ulteriore orientamento vuole che una simile soluzione vada comunque valutata alla luce della fondatezza astratta della chiamata in garanzia. Ciò significa che il terzo chiamato sia effettivamente chiamato alla manleva del convenuto il quale vanta nei suoi confronti il diritto ad essere tenuto indenne. Tale tipo di onere, che grava anche sull’attore come detto, in sostanza deriverebbe dalla responsabilità di quest’ultimo consistente nell’aver dato luogo ad un giudizio infondato nel quale il terzo, chiamato legittimamente, suo malgrado, ha dovuto comunque costituirsi.

Il Tribunale di Catania, va oltre i detti orientamenti e, facendo propri alcuni principi giurisprudenziali espressi nel tempo dalla Cassazione, ne fornisce una interpretazione innovativa, inserendo, ai fini della condanna al ristoro delle spese del terzo chiamato, il criterio della arbitrarietà.

In parole semplici, a pagare sarà l’attore soccombente se la chiamata si è resa obiettivamente necessaria in virtù delle pretese e difese da codesto proposte, mentre resterà a carico del convenuto (anche se vittorioso), in tutti quei casi nei quali la chiamata sia stata “arbitraria”, ovvero, non direttamente scaturente dalle difese e richieste avanzate dall’attore.

Tale interpretazione è stata anche confermata nella sentenza n°7976/15 della Suprema Corte nella quale, considerando il chiamante in sé, sia esso attore o convenuto, viene stabilito che le spese del terzo restano a carico della parte la cui iniziativa di chiamare in causa si riveli arbitraria.

Ciò che appare più complesso è stabilire quando e perché la chiamata possa essere ritenuta arbitraria. La soluzione non è semplice e generalizzabile, potendo soccorrere criteri come la esistenza del diritto di manleva, la riconducibilità delle condotte astratte giudizialmente evidenziate a clausole di garanzia, la correttezza processuale delle parti in riferimento alla palese fondatezza o meno della chiamata stessa.

Tuttavia, pur se tali caratteri vadano ricercati di volta in volta dai giudici, il criterio dell’arbitrarietà contribuisce a riequilibrare gli oneri fra le parti che non subiranno una ulteriore pesante condanna solo sulla base della soccombenza.

Avv. Gianluca Mari

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