Se fino ad oggi abbiamo creduto che esistessero solo due tipi di diabete, 1 e 2, adesso una ricerca svela invece che ce sono altri tre. La nuova classificazione potrebbe portare a trattamenti migliori.

Quanti tipi di diabete ci sono? Fino a poco tempo fa si parlava di due tipi, 1 e 2, appunto, ma ora una ricerca apparsa sulla rivista ‘The Lancet Diabetes and Endocrinology’ potrebbe cambiare definitivamente la classificazione esistente.

Secondo lo studio a firma di esperti del Lund University Diabetes Centre (Svezia) e dell’Institute for Molecular Medicine (Finlandia) sono infatti ben cinque i tipi di diabete in età adulta.

Oggi in tutto il mondo sono almeno 420 milioni le persone che soffrono di diabete, un numero che dovrebbe salire a 629 milioni entro il 2045, secondo la International Diabetes Federation. Attualmente, la malattia è divisa in due sottotipi. Il primo, il diabete di tipo 1, è generalmente diagnosticato durante l’infanzia e che rappresenta circa il 10% dei casi. In esso, l’organismo semplicemente non produce insulina, l’ormone che aiuta a regolare i livelli di zucchero nel sangue.

Nel tipo 2, invece, il corpo non produce invece abbastanza insulina.

Gli scienziati adesso svelano una classificazione che potrebbe portare a trattamenti migliori. Non solo.

Questa “scoperta” di altri tre tipi di diabete potrebbe aiutare i medici a prevedere con maggiore precisione complicanze potenzialmente letali.

I nuovi risultati, dunque, sono coerenti con la crescente tendenza verso la ‘medicina di precisione’, che tiene conto delle differenze tra gli individui nella gestione delle malattie.

Infatti, così come un paziente che richiede una trasfusione deve ricevere il giusto tipo di sangue, i sottotipi di diabete necessitano di trattamenti diversi.

Questo l’assunto di base della ricerca.

Lo studio, inoltre, ha anche identificato diversi tipi di microbiomi – l’ecosistema batterico nel nostro tratto digestivo – che possono reagire in modo diverso allo stesso farmaco antidiabete, rendendolo più o meno efficace.

Secondo l’autore senior Leif Groop, endocrinologo, questo “è il primo passo verso una cura personalizzata di questa malattia”.

La nuova classificazione costituisce un vero e proprio “cambio di paradigma” nel modo in cui la patologia viene gestita.

È noto da tempo che il diabete di tipo 2 è una condizione altamente variabile. Cionostante, la classificazione era rimasta invariata per decenni.

Così, i ricercatori hanno monitorato 14.775 pazienti con diabete di nuova diagnosi di età compresa tra 18 e 97 anni.

Isolando e studiando le misurazioni di insulino-resistenza, secrezione di insulina, livelli di zucchero nel sangue, età e insorgenza della malattia, hanno individuato cinque gruppi distinti di malattia: tre forme gravi e due più lievi.

Ecco i nuovi gruppi.

Nel primo, cluster 1, rientrano i pazienti con insulino-resistenza in cui le cellule non sono in grado di utilizzare l’insulina in modo efficace. Sono persone giovani e in buona salute e corrispondono più o meno ai pazienti con l’attuale tipo 1 di diabete.

Nel cluster 2 vi sono pazienti relativamente giovani, insulino-carenti. All’interno del cluster 3 rientrano pazienti con insulino-resistenza grave, di solito in sovrappeso. Il cluster 4 comprende pazienti di mezza età con diabete correlato all’obesità. Infine, il cluster 5 riguarda persone con diabete correlato all’età. Questi sviluppano sintomi molto dopo rispetto alle persone comprese nei precedenti gruppi.

Tutti i dati della ricerca sono stati confrontati con altri tre studi condotti in Svezia e Finlandia e “i risultati hanno superato le nostre aspettative”, dicono gli autori.

Ciò perché, di fatto, hanno confermato quanto osservato. Ora i ricercatori hanno in programma di avviare studi simili in Cina e in India, per dare ancora più forza alla scoperta.

Giorgio Sesti, presidente Società italiana di diabetologia (Sid) e docente di Medicina interna all’Università Magna Graecia di Catanzaro è intervenuto sul tema intervistato da Adnkronos.

“Premettendo che una nuova classificazione dei tipi di malattia dovrà essere discussa a livello internazionale e poi avallata dall’Organizzazione mondiale della sanità per evitare differenze a livello dei vari Paesi – commenta Sesti – rivedere quella relativa al diabete sarebbe d’aiuto”. Secondo Sesti, infatti, “oggi abbiamo infatti a disposizione ben 8-9 classi diverse di farmaci, ma solo 2 tipologie riconosciute di diabete per i quali possono essere indicati. Aumentandole, si potrebbero offrire cure più mirate”.

Non resta che attendere le reazioni allo studio dalla comunità scientifica mondiale.

 

 

 

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