Donazione compensata? No, grazie. Il dott. Claudio Puoti, specialista in Epatologia, Gastroenterologia e Malattie Infettive, boccia le ipotesi avanzate in America e spiega perché il modello italiano funziona così com’è e non andrebbe cambiato.

In America si discute della possibilità di risarcire i donatori di rene e di creare un mercato controllato per migliorare la situazione delle donazioni nel paese che, sistematicamente, si deve confrontare con la carenza di organi a disposizione, rispetto alla richiesta di trapianti.

Ma quella della “donazione compensata” è davvero la strada giusta? Dopo aver sentito al riguardo il presidente dell’AIDO (Associazione Italiana Donatori di Organi), «Responsabile Civile» ha chiesto un parere al prof. Claudio Puoti Specialista in Epatologia, Gastroenterologia e Malattie Infettive che ha bocciato con decisione l’ipotesi: «Innanzitutto perché innesca un mercato nero e l’interesse della criminalità».

Insomma, da parte dello specialista arriva una bocciatura senza appello a cui fa da contraltare il virtuosismo del modello europeo e in particolare italiano: «La donazione, in Europa e in Italia è assolutamente garantita sia sotto il profilo delle donazioni che della sicurezza: l’organo donato, sia che venga da vivente sia da cadavere, deve essere controllato, omogeneo da un punto di vista immunologico, per evitare i rigetti. Quando si entra in un ambito mercenario questi argini di sicurezza e di controllo vengono ovviamente meno».

E per chiarire meglio i pericoli di un sistema fuori controllo, il dott. Puoti ci porta una sua testimonianza diretta: «Per quel che riguarda il mio ambito, quindi il fegato, ho avuto un’esperienza al riguardo che risale a moltissimi anni fa, quando in Italia ancora non si facevano molti trapianti. Venne da me un facoltoso paziente italo-americano che aveva subito un trapianto negli Stati Uniti dove, a quei tempi, c’era uno strano meccanismo di donazioni a pagamento simulate, nascoste come offerte generose ai parenti del morto.

A farla breve, dopo poco essere arrivato in Italia gli esplose, con la terapia anti-rigetto, un’epatite B. Questo perché non c’era stato nessun controllo. Io so che in quegli anni c’erano molte persone che, davanti alle terapie intensive, andavano dai genitori di ragazzi vittime di scontri tra bande, ad esempio, e che proponevano di offrire, previo pagamento, una donazione. Ma è un meccanismo perverso, pericoloso sotto un profilo di sicurezza, di criminalità, ma, in ultimo, anche per chi riceve questi organi».

Da allora, molte cose sono cambiate, ma quella statunitense è ancora una sanità a pagamento. Un sistema ben diverso da quello europeo che il dott. Puoti promuove a pieni voti, anche – e soprattutto – in fatto di trapianti: «Il sistema europeo, e in particolare quello italiano è assolutamente splendido. Esiste un centro nazionale trapianti, con controlli seri e non solo sulla salute di pazienti e donatori, ma anche su eventuali problemi di scavalcamenti o di corruzione nella gestione delle liste di attesa. È un sistema talmente limpido, pulito, efficiente che non lascia spazio né a ombre, né a dubbi».

Il dott. Puoti, tuttavia, evidenzia la vera grande problematica sollevata dalla donazione da vivente: «È l’unico caso in medicina in cui si opera un sano: il donatore. Questo aspetta crea delle problematiche anche di ambito etico e morale» sottolinea l’epatologo e per questo «La motivazione per cui si dona è importante». Puoti ci ricorda, però, che anche in questo caso, gli specialisti si devono muovere seguendo precise regole: «Il trapianto da vivente è ammesso in Italia, ma le valutazioni da fare sono di tipo chirurgico, epatologico nel caso del trapianto di fegato, e abbiamo dei precisi limiti da considerare riguardo i rischi che ha il donatore e i vantaggi che può avere il ricevente».

Gli specialisti, insomma, hanno un riferimento efficace: «Il regolamento esistente  è assolutamente sufficiente. Ci pone dei limiti, ci pone degli argini, ma soprattutto delle linee guida e delle regole che non sono calate dall’alto, ma il prodotto di un percorso lungo e condiviso».

Proprio grazie al ferreo regolamento al quali attenersi e ai controlli sistematici da effettuare in ogni fase della donazione e del trapianto, il bilancio in Italia è positivo: «Per quanto riguarda le donazioni di fegato, io ho la sensazione che siano aumentate moltissimo. Ho moltissimi trapiantati, e da quando ci sono i nuovi farmaci contro l’epatite C, ci sono anche meno barriere e problemi di ricadute».

Pur non negando che ci sia una maggiore concentrazione di centri trapianti nel centro-nord rispetto al Sud, una distribuzione piuttosto disomogenea, insomma, il dott. Puoti sottolinea che «tra l’AIDO, le istituzioni, e, nel nostro piccolo, noi epatologi o più in generale noi specialisti, si sta cercando di fare una campagna di sensibilizzazione e forse stiamo facendo dei passi avanti, non giganteschi, ma neanche piccolissimi».

A cura di Monica Gasbarri

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