Per un trapianto di fegato ritardato, ritenuto concausa nella morte di una paziente, due ospedali sono stati condannati a risarcirne i familiari

Due ospedali sono stati condannati a risarcire i familiari di una paziente pisana, morta nel 2004, a causa di un trapianto di fegato ritardato.
Il giudice ha ritenuto che il trapianto di fegato ritardato fosse da considerarsi una concausa nella morte della donna.
Pertanto, i due ospedali dovranno risarcire con 140 mila euro i familiari.
Da anni la donna soffriva di un’epatite cronica che le condizionava l’esistenza.
Rinunce, privazioni, cure e farmaci da assumere con regolarità. La necessità di un trapianto si era fatta sempre più impellente. E, con ragionevole certezza, avrebbe allungato la sua vita. Il fegato però non è mai arrivato.
Per questa ragione i familiari della donna, morta nel 2004, hanno contestato il trapianto di fegato ritardato.
I ritardi riguardavano sia l’ospedale Cisanello di Pisa che l’Ismett (Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie di alta specializzazione) di Palermo, entrambi coinvolti nella causa intentata dalla famiglia.
Dopo anni, ecco il risarcimento.
Anche se le pretese iniziali – 810mila euro – sono state ridotte: solo 140 mila euro per la famiglia della donna morta a causa del trapianto di fegato ritardato. Una battaglia legale che era iniziata nel 2007 e che ha avuto un primo giudizio dopo dieci anni.
E che, ancora, non è finita.
L’Azienda ospedaliera ha infatti deciso di ricorrere in appello contro la decisione del giudice Roberto Bufo del Tribunale di Pisa.
L’ospedale infatti ha sempre sostenuto la correttezza dell’operato dei medici.
Nell’atto di citazione i legali dei familiari sostenevano che sia l’ospedale Cisanello che l’Ismett avevano “posto in essere una serie di omissioni e ritardi, durati ben cinque anni, ostativi all’esecuzione del trapianto che rappresentava l’unico rimedio per salvare la vita della donna”.

La prima consulenza tecnica, però, aveva dato ragione agli ospedali.

Erano infatti state escluse responsabilità da parte dei due nosocomi.
In seguito, il giudice aveva disposto una seconda consulenza medico-legale reputando la precedente “insita di argomentazioni non sempre coerenti tra loro”.
E mentre anche la seconda consulenza arrivava alle stesse conclusioni della perizia originaria, a determinare il verdetto sono stati dei vizi formali.
Segnalati dagli autori della causa, avevano vanificato gli effetti favorevoli per gli ospedali. Sembra infatti che il Ctu abbia utilizzato nella sua analisi e valutazione documenti non contenuti negli atti processuali e acquisiti irritualmente.
Adesso si vedrà se la sentenza verrà ribaltata o confermata in appello.
 
 
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