La sentenza prevede la liquidazione di circa 120mila euro a una donna di Latina risultata positiva nel 2009 al virus dell’epatite C

Mancata vigilanza e controlli delle trasfusioni di sangue somministrate nel 1970 presso l’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Questa la motivazione alla base della sentenza con cui il Tribunale di Roma, a 46 anni di distanza dal fatto, ha condannato il Ministero della Salute a risarcire una donna risultata positiva al virus dell’epatite C solamente nel 2009.

La donna, allora 25enne venne sottoposta a due trasfusioni “per assistenza al parto in una gravidanza a termine senza menzione di rischi superiori allo standard”. Le trasfusioni pertanto non sarebbero neppure state necessarie e avvennero “senza che peraltro fossero esplicitate le ragioni di tale decisione nella cartella clinica”.

Nonostante il lungo lasso di tempo intercorso con la scoperta della malattia e la successiva apertura del processo, il giudice ha accolto la tesi dell’avvocato della donna secondo cui, per provare la relazione causale fra le trasfusioni degli anni ’70 presso il nosocomio del capoluogo pontino non è necessaria la prova certa che i donatori siano stati rintracciati e trovati positivi all’epatite C.

Secondo l’avvocato è invece “sufficiente un grado di probabilità pari al 50% allorquando non sussiste la prova che il contagiato abbia avuto comportamenti a rischio di infezione epatica come ad esempio: promiscuità sessuale, terapia dialitica, interventi chirurgici, omosessualità, body piercing, tatuaggi”.

Nella sentenza si specifica poi che il consulente medico nominato dal tribunale ha evidenziato che “nel caso in esame non sono emersi elementi anamnestici o comportamentali che possano ricondurre l’infezione epatitica a causa diversa dall’emotrasfusione”.

La somma che il Ministero dovrà liquidare è pari a 101mila euro, ma con gli interessi e la rivalutazione la cifra sale a 120mila euro. Lo stesso legale della vittima ha tuttavia già annunciato che sarà presentato ricorso in appello in quanto il risarcimento riconosciuto è ritenuto “molto più basso rispetto al grave danno alla salute emerso in corso di causa e dalla consulenza medica legale che ha riconosciuto un’invalidità permanente del 50%”.

 

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