Il Ministero condannato a risarcire il danno biologico derivato dal contagio dei virus HBV, HIV o HCV a seguito di trasfusioni con sangue infetto

Con la sentenza del 6 aprile 2017 la Corte d’Appello di Roma ha chiarito sia l’an che il quantum in tema di risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di trasfusioni con sangue infetto.
La sentenza in esame riguarda il caso di diversi soggetti a cui sono state effettuate emotrasfusioni durante dei trattamenti sanitari presso strutture pubbliche. A seguito di detti trattamenti, i pazienti hanno contratto rispettivamente i virus HBV, HIV o HCV a causa delle trasfusioni con sangue infetto. . Nonostante le trasfusioni risalgano a periodi storici differenti e riguardino soggetti diversi, le domande risarcitorie sono state riunite in un unico processo.
Gli attori del processo, in primo grado avevano richiesto il risarcimento del danno biologico e morale, oltre all’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, già ottenuto dal ministero della Sanità a seguito del procedimento amministrativo intentato a norma della legge citata. Tale indennizzo è infatti previsto “a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”. Ha quindi natura diversa rispetto al risarcimento del danno biologico da lesioni gravissime.
Il Ministero della Salute ha perciò impugnato la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte d’Appello sostenendo di essere del tutto estraneo al fatto materiale della trasfusione da cui è derivato il danno. Secondo il Ministero di tale intervento sarebbero responsabili le singole Regioni, quali depositarie dei compiti amministrativi in materia di salute umana e veterinaria. Oltre a ciò l’appellante ritiene che sarebbe stato configurato erroneamente a suo carico un dovere di vigilanza troppo ampio e generale.

La sentenza della Corte d’Appello

Ma la Corte rigetta l’appello su diversi punti. In motivazione si legge infatti che “il primo giudice ha fatto corretta applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità”. “Il Ministero della Salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati”. Di conseguenza “risponde, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dei danni conseguenti ad epatite ed a infezione da HIV, contratte da soggetti emotrasfusi, per omessa vigilanza sulla sostanza ematica e sugli emoderivati“.
La Corte aggiunge  che “vi è la presunzione di responsabilità del Ministero della Salute per il contagio verificatosi negli anni tra il 1979 e il 1989″. Questo perchè era già  “avvenuta la scoperta scientifica della prevedibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978, con il conseguente obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico”. Tale presunzione “può essere vinta solo se viene fornita dallo stesso Ministero la prova dell’adozione di condotte e misure necessarie per evitare la contagiosità. A prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica“.
Per ciò che attiene invece al dovere di vigilanza contestato dal Ministero, la Corte risponde che questo si desume da quanto si legge nella sentenza della Cassazione n. 10291/2015 (e da altri precedenti conformi). Una volta acclarata l’esistenza della patologia e l’assenza di altri fattori causali alternativi deve ritenersi, “secondo un giudizio ipotetico, che l’azione omessa avrebbe potuto impedire l’evento”. E questo “perché obiettivamente prevedibile che ne sarebbe potuta derivare come conseguenza la lesione. La prova di tale conoscenza deve ritenersi raggiunta a partire dal 1978, con il riconoscimento del virus dell’epatite B da parte dell’OMS. Sempre che non emerga altra data antecedente con lo stesso livello di oggettività“.

Compensatio lucri cum damno

Riguardo invece il risarcimento del danno richiesto oltre all’indennizzo ex legge n. 210 del 1992, la Corte di Cassazione aveva già affermato a Sezioni Unite un principio.  “Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di trasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992″. Tuttavia, nel giudizio risarcitorio  promosso contro il Ministero della salute, viene fatta una precisazione importante. “L‘indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno. Altrimenti la vittima va a godere di un ingiustificato arricchimento “. Tale arricchimento consisterebbe “nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali”. Diversamente se ne può richiedere “una  in relazione al medesimo fatto lesivo“.
La compensatio lucri cum damno, citato dalla Corte d’Appello, allude al principio per cui il giudice in sede di quantificazione del risarcimento del danno dovuto dall’autore, deve tenere  di due cose. Del pregiudizio causato dal fatto illecito. Ma anche degli eventuali vantaggi che si sono venuti a creare nel patrimonio del soggetto danneggiato. La Corte ha inteso dire che bisogna considerare come un comportamento di per sé illecito e/o dannoso può innescare anche effetti positivi nel danneggiato. Ragion per cui condanna il Ministero a risarcire il danno.  Ma dalla sua quantificazione totale sottrae quanto le vittime hanno già percepito a titolo di indennizzo ex legge n. 210 del 1992.

Avv. Annalisa Bruno
(foro di Roma)

 
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