La Corte di appello di Roma aveva respinto la richiesta di consegna di un detenuto di nazionalità rumena da parte delle autorità giudiziarie del suo Stato di cittadinanza con mandato di arresto Europeo, per presunto trattamento carcerario “degradante”

Dalle informazioni fornite, in ordine al regime carcerario riservato allo straniero, lo Stato richiedente aveva ravvisato il concreto rischio di un trattamento inumano, stante la sua destinazione in regime “chiuso” in una cella con uno spazio di tre metri quadri comprensivi di letto e mobilio, dunque al di sotto del minimo indicato dalla Corte EDU.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma che denunciava la violazione dei principi giurisprudenziali in materia di trattamento carcerario e spazio minimo vitale del detenuto.

Il riferimento è il criterio dello spazio minimo di tre mq. che va calcolato tenendo in considerazione la possibilità del detenuto di muoversi liberamente tra i mobili. E, in ogni caso, anche seguendo il più rigoroso orientamento di legittimità in relazione ai casi nazionali, il dato spaziale non è l’unico da prendere in considerazione, dovendosi valutare il complessivo trattamento del detenuto.

Nella specie, il trattamento riservato al detenuto rumeno prevedeva il regime chiuso solo per un periodo iniziale, con l’ammissione dopo un anno al regime semiaperto; nel regime chiuso in ogni caso sarebbe stato assicurato il diritto di movimento del detenuto all’interno di spazi comuni con attività ricreative e educative per un periodo minimo di tempo.

La parola alla Corte di Cassazione

I giudici del Supremo Collegio, nell’accogliere il ricorso del Procuratore Generale, hanno innanzitutto ricordato che la giurisprudenza di legittimità, in tema di compatibilità degli spazi carcerari con i principi espressi nell’art. 3 della CEDU, ha elaborato “non criteri rigidi ma opzioni interpretative connotate da quella necessaria elasticità al fine di consentire una globale valutazione delle condizioni generali di detenzione”.

I criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sul regime carcerario

In particolare, la predetta giurisprudenza si è assestata sull’opzione interpretativa che individua la superficie di tre metri quadrati come c.d. “spazio individuale minimo” di disponibilità del singolo detenuto in cella collettiva. Tale soluzione lungi dall’essere un rigido criterio imperativo, deve essere considerato quale semplice indice di riferimento da cui partire per effettuare ogni altra valutazione necessaria all’accertamento della lesione dei diritti del detenuto.

Peraltro, sullo specifico tema della compatibilità degli spazi carcerai con l’art. 3 della Convenzione EDU, anche la Grande Camera, ha ribadito che, “in caso di sovraffollamento grave, la mancanza di spazio in cella costituisce l’elemento centrale di cui tenere conto per stabilire se tali condizioni siano “degradanti”. Ma ha, al tempo stesso, affermato che “una superficie calpestabile di tre metri quadrati per ogni detenuto in una cella collettiva” deve rimanere la soglia minima pertinente ai fini della suddetta valutazione, al di sotto della quale sorge una “presunzione” di violazione della disposizione di cui all’art. 3, confutabile, tuttavia, con la dimostrazione della sussistenza di altri aspetti del regime restrittivo che, alla luce delle globali condizioni della detenzione e della sua durata, siano in grado di compensare, in maniera adeguata, la mancanza di spazio personale, come, ad esempio, il grado di libertà di circolazione del ristretto e l’offerta di attività all’esterno della cella nonché le buone condizioni complessive dell’istituto e l’assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti”. (si veda anche la pronuncia del 15 dicembre 2016, Khalifa e altri c. Italia).

I criteri per l’individuazione dello spazio minimo individuale

Dunque, il riferimento dei tre metri quadrati è relativo alla superficie calpestabile e dunque lo spazio minimo in cella collettiva deve essere inteso quale spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilità di muoversi (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia).

Fatte queste premesse, la Corte di legittimità, ha riferito anche riguardo all’ipotesi di celle con letto a castello. Quest’ultimo, come è noto, è per prassi utilizzato per consentire l’alloggio di più detenuti nella stessa camera.

Ma esso, tuttavia, presenta un peso tale da non poter essere spostato ed è quindi idoneo a restringere, al pari degli armadi appoggiati o infissi stabilmente al suolo, lo spazio all’interno della camera detentiva e a rappresentare un ingombro.

Ciò impone che, in questi casi, la porzione di spazio individuale minimo sia calcolata in riferimento alla superficie effettivamente funzionale alla libertà di movimento del recluso; con esclusione cioè, dello spazio occupato da tale tipo di letto (di norma non compatibile neanche con una seduta eretta).

Il principio di diritto

Cosicché è stato affermato il seguente principio di diritto: “ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 CEDU, devono essere detratte dalla superficie lorda della cella, l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, ove questo assuma la forma e struttura “a castello”, e gli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente spostabili”.

Il caso del detenuto rumeno

Nel caso in esame era evidente la violazione di detti principi; né erano ravvisabili quegli ulteriori fattori compensativi, idonei a fornire una diversa giustificazione.

Doveroso, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale affinché, se del caso acquisendo ulteriori informazioni, esami nuovamente il trattamento carcerario riservato al cittadino rumeno.

Sabrina Caporale

 

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