Oltre alle 150 società scientifiche regolarmente iscritte alla Federazione nazionale società scientifiche (Fism) che prevede una serie di criteri di affidabilità per l’adesione, si stimano altre 500 ad alto rischio conflitti di interesse.

Questo quanto emerge da due studi di prossima pubblicazione, di cui l’Adnkronos Salute ha anticipato alcune parti. Secondo le ricerche, una condotta in ambito specialistico, l’altra realizzata da un gruppo di giovani medici, sono rari i bilanci pubblicati online, ancor meno i resoconti pubblici sulle sponsorizzazioni, ed è pressoché inesistente la presenza sui siti di codici di comportamento rispetto ai rapporti con le aziende farmaceutiche e le fonti di finanziamento di congressi e corsi di formazione.

Per Paolo Vercellini, docente di Clinica ostetrica e ginecologia all’università degli studi di Milano, la Fondazione Policlinico di Milano, che ha condotto la ricerca sulle società scientifiche in campo ginecologico e ostetrico, non c’è dubbio: in questo settore si crea almeno una nuova associazione ogni anno da 35 anni. Secondo Vercellini, c’è anche la parcellizzazione delle società scientifiche. «Una grande società scientifica, che si occupa di diversi ambiti della stessa specializzazione, può avere sponsorizzazioni da diverse aziende farmaceutiche, ha maggiore potere contrattuale e meno vincoli.

Una piccola società che si occupa di un ambito molto limitato, magari di una sola malattia per la quale esiste un solo farmaco, è molto più legata all’unica azienda che può sponsorizzarla. La proliferazione delle società scientifiche di questi anni, a mio avviso, è un elemento molto negativo» sottolinea.

Secondo quanto riportato da Adnkronos, i ricercatori hanno valutato la presenza sui siti di alcuni elementi di trasparenza: bilanci, codici di comportamento, conflitti di interesse dei vertici, bilanci dei congressi, numero di congressisti sostenuti dalle aziende farmaceutiche, quota d’iscrizione, sponsorizzazioni per l’Ecm.  Spiega Vercellini: «il livello di trasparenza rilevato è estremamente basso».

«Il punto cruciale è da dove vengono i soldi che permettono alle società di sopravvivere – denuncia – visto che le quote associative sono minoritarie». Non solo. Convegni e congressi annuali, con i loro crediti Ecm, «rappresentano il momento più importante dell’attività di ciascuna società scientifica, ma sono costosi e di fatto obbligano alle sponsorizzazioni. Molti medici non potrebbero partecipare se non con il supporto delle aziende farmaceutiche, visto che si possono spendere anche oltre duemila euro. Ci sono dunque potenziali conflitti di interessi ma sappiamo che senza le aziende moltissimi congressi non ci sarebbero. Eliminare il conflitto è impossibile, ma per gestirlo ci vuole trasparenza» dice Vercellini.

«Le società scientifiche dovrebbero rappresentare l’eccellenza e avere comportamenti esemplari dal punto di vista etico, anche in considerazione del fatto che il terreno su cui ci si muove è ‘scivoloso’. Le società scientifiche infatti definiscono linee guida che orientano le scelte terapeutiche del singolo medico, fanno formazione Ecm. Tutti punti a rischio conflitto d’interesse».

Alle stesse conclusioni arriva anche una ricerca più ampia, in attesa di pubblicazione su una rivista internazionale – anticipata da Adnkronos – realizzata da un gruppo di giovani medici, tra i quali Alice Fabbri dell’associazione, ‘No grazie pago io’, che fanno parte della Consulta degli specializzandi della Siti (Società italiana di igiene) e del Centro di salute internazionale dell’Università di Bologna. L’analisi è stata condotta sui siti Internet delle società presenti nell’elenco fornito dalla Federazione delle Società medico-scientifiche italiane (Fism). «Ciascun sito – spiegano gli autori – è stato valutato sulla base della presenza di codici di regolamentazione dei rapporti con l’industria e di sponsorizzazioni effettivamente ricevute per l’organizzazione di congressi ed eventi formativi».

Ne è risultata una diffusa mancanza di trasparenza sulle fonti di finanziamento e la quasi totale assenza di regolamentazione del conflitto di interessi. Per gli autori, questi dati «suggeriscono una scarsa percezione del problema da parte delle società scientifiche italiane». Lo studio però non mette in discussione l’importanza delle società scientifiche in sé. «La nostra ricerca vuole rappresentare uno stimolo a intraprendere una riflessione sull’attuale modus operandi delle società scientifiche per salvaguardarne l’indipendenza e l’integrità».

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