Incentivi per garantire il ricambio generazionale e istituzione della figura dell’infermiere di famiglia tra le proposte della Federazione per garantire un’assistenza di qualità e in linea con la normativa UE

Sono 17mila gli infermieri che servono all’Italia per soddisfare la norma Ue sui riposi e i turni di lavoro. E’ quanto emerge dall’analisi svolta dalla Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi in occasione del convegno “Il fabbisogno dei professionisti sanitari nei prossimi 20 anni: l’esperienza italiana nell’ambito del progetto europeo” in programma oggi presso il Ministero della Salute e che rappresenta l’evento finale italiano del progetto europeo Health Workforce Planning and Forecasting.

Altri 30mila infermieri servono per far fronte alle necessità del territorio dove non autosufficienza e cronicità aumentano di pari passo con la crescita dell’età della popolazione; anche per queste ragioni da qui a cinque anni il numero del fabbisogno crescerà e raggiungerà quota 60mila, fino ad arrivare nel giro di 10 anni a 90mila nuovi infermieri.

L’analisi si è tradotta in una proposta lanciata nel corso dell’incontro dal vicepresidente della Federazione Ipasvi, Maria Adele Schirru, che ha evidenziato la necessità di incrementare il numero di infermieri attivi dal 6,1 per mille abitanti a 6,5 per mille abitanti (subito al 6,3 per mille, a fronte di una media Ocse superiore al 9,1 per mille). L’arco temporale per raggiungere il parametro indicato è, in questa prima fase, ipotizzabile in cinque anni con progressivo aumento delle risorse professionali sino a raggiungere il 7 per mille entro dieci anni.

Schirru ha poi delineato alcune azioni volte a migliorare produttività e performance, migliorare lo skill mix (il cambiamento nella combinazione di figure professionali richieste per le attività sanitarie) e impegnare i professionisti sanitari nelle aree sotto servite.

Il primo intervento riguarda la forza lavoro impegnata soprattutto nelle strutture di ricovero, che ha urgente necessità di una integrazione degli organici per ripristinare livelli più sicuri (come numeri, ma anche come età dei professionisti) che garantiscano al paziente sicurezza e qualità dell’assistenza e per rispettare i parametri Ue in materia di orario di lavoro.

L’ ipotesi è quella di prevedere incentivi per favorire il ricambio generazionale: al pensionando volontariamente disponibile alla trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale con una riduzione dell’orario di lavoro del 50% delle ore contrattualmente dovute, è mantenuta l’integrazione contributiva derivante da un contratto di lavoro a tempo pieno sino alla maturazione dei requisiti pensionistici. Questa figura potrebbe assumere anche una funzione di tutor dei più giovani per tenere alto il livello di qualità dei servizi. Con i risparmi di spesa legati alla riduzione dell’orario di lavoro dei pensionandi della stessa azienda o struttura sanitaria, il datore di lavoro assume, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, uno o più assumibili a tempo parziale ovvero a tempo pieno. Alla maturazione dei requisiti pensionistici dei pensionabili, il contratto di lavoro a tempo parziale può essere trasformato in contratto di lavoro a tempo pieno.

Il secondo intervento riguarda l’assistenza territoriale dove la figura dell’infermiere è centrale per garantire continuità delle cure, diventando parte attiva del passaggio dalla cosiddetta medicina d’attesa a quella di iniziativa. In questo senso l’Ipasvi sottolineala necessità di attribuire all’infermiere nuove competenze quali le cure primarie e servizi territoriali/distrettuali. Una figura già attivata in molte Regioni, il cosiddetto ”infermiere di famiglia” e utilizzata soprattutto per i non autosufficienti e i malati cronici che richiedono un’assistenza pressoché costante e di qualità professionalmente garantita, per non aprire la porta a soluzioni fai-da-te (parenti, amici, badanti ecc., che lo stesso infermiere potrebbe educare a eseguire interventi semplici, possibili senza specifica preparazione e di routine per agevolare il benessere del malato) che altro non fanno se non accrescere poi il ricorso al pronto soccorso per mettere riparo a ulteriori danni arrecati alla salute.

Gli italiani interessati a questo tipo di assistenza sono, secondo gli attuali indici di non autosufficienza e di cronicità, circa 16 milioni e l’Ipasvi calcola la necessità di almeno un infermiere ogni 500 assistiti (l’assistenza è continua), circa 30mila in tutto quindi.

La competenza specifica di infermiere di famiglia sarebbe assunta con un preciso percorso universitario, oggi attivo già in 9 atenei e che ha portato alla formazione di circa 5.400 professionisti “specializzati”. E l’infermiere di famiglia potrebbe anche intervenire nell’offerta di assistenza territoriale nelle ”Case della salute” o negli ospedali di comunità, dove gli infermieri possono gestire direttamente persone con problemi di fragilità, in collaborazione con i medici di medicina generale.

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