Comune di Amalfi citato a giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, per il risarcimento dei danni subiti da una cittadina, in conseguenza della caduta, dovuta a suo dire, ad un tombino e ad un profondo avvallamento esistenti su di una strada comunale, da lei percorsa

La domanda, accolta in primo grado con il riconoscimento della somma di 35.651,67 euro, oltre interessi, a titolo di ristoro del danno subito, veniva rigettata in appello.
Stessa sorte nel giudizio di legittimità.
Ai giudici Ermellini è bastato ricordare le recenti ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483 con le quali, la stessa Suprema Corte di Cassazione ha affermato che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue che, “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso”.

Il “fatto colposo” del danneggiato

Nelle menzionate pronunce si è anche chiarito che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.
Dunque, cautela e prudenza, è quello che si richiede alle vittime di “insidie” stradali.
Nel caso in esame la sentenza della corte d’appello aveva fatto buon governo dei principi sopra enunciati e pertanto, era incensurabile sotto il profilo del controllo di legittimità.
Ed infatti, essa aveva accertato in punto di fatto, che la strada percorsa dalla ricorrente presentava un avvallamento di minimo spessore, per cui non esisteva alcuna insidia che non fosse evitabile applicando l’ordinaria diligenza.
Aveva inoltre, aggiunto che non aveva rilievo il fatto che la strada fosse molto affollata, perché tale situazione avrebbe dovuto indurre la vittima ad una maggiore attenzione.
Mancava dunque, un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell’avvallamento e la caduta, posto che la situazione dei luoghi e l’orario diurno erano prova del fatto che l’uso dell’ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta; il che è conforme ai principi in precedenza richiamati.
Per questi motivi il ricorso è stato rigettato e condannato la ricorrente al pagamento delle ulteriori spese di giudizio.

La redazione giuridica

 
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